VIOLENZA SULLE DONNE: UN MALE ANCORA DA VINCERE
Il dramma di “non essere creduti”
E’ di pochi giorni fa la notizia che il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa ha rilevato la responsabilità dell’Italia nella mancata rimozione di ostacoli all’accesso alla giustizia alle donne vittime di violenza. Il Paese resterà sotto vigilanza e dovrà rendere conto, entro il 31 marzo del 2021, delle misure adottate per garantire un’adeguata valutazione del rischio che corrono le donne che sporgono denuncia di violenze e abusi e dimostrare la concreta applicazioni dei relativi provvedimenti normativi.
All’Italia è chiesto, inoltre, di lavorare di più e meglio sul piano della prevenzione e sulla diffusione territoriale dei Centri antiviolenza.
Il Comitato dei Ministri ha espresso soddisfazione per gli sforzi fatti con la l. n. 69 del 2019, denominata Codice Rosso, che mira a rafforzare il quadro giuridico globale, ma, al contempo, ha valutato negativamente i dati allarmanti sui tempi di risposta dei Tribunali alle denunce, sul numero di procedimenti penali avviati, sulle assoluzioni e sulle eccessive archiviazioni. Quest’ultime sarebbero da attribuire alle inadempienze e inadeguatezze dei tribunali e non, come spesso si vuol far intendere, a false accuse da parte delle donne.
La posizione del Comitato dei Ministri esprime la mancanza di un sistema integrato di tutela delle donne e dei loro diritti, di una società retrograda ancora impregnata di pregiudizi, che spesso non lascia immune nemmeno l’amministrazione della giustizia.
“La cosa più difficile” – scriveva primo Levi, ne I sommersi e i salvati – “è essere creduti, perché non sempre il male trova ascolto e non sempre chi lo ascolta è disposto a credere, a capire e prendere una posizione”.
Spesso questo è il destino di chi si trova a vivere situazioni di violenza: non essere creduti.
Tante le storie raccontate, tutte con le stesse caratteristiche.
Uomini violenti, possessivi, gelosi, uomini dal facile pentimento, uomini capaci di segnare la mente, oltre che il corpo, che tolgono il respiro. E la dignità.
A causa della scarsa tutela che il sistema fornisce loro, molte donne vittime di violenza non trovano la forza per denunciare i propri aguzzini, temono ripercussioni su figli e famiglia e finiscono col pagare caro il loro silenzio.
Purtroppo, la normativa nazionale non sembra costruire ancora strumento realmente utile per il risanamento di questa piaga sociale.
Il “Codice Rosso“, che include incisive disposizioni di diritto penale sostanziale, così come ulteriori di indole processuale, prevede nuove misure cautelari e di prevenzione, nuovi reati e sanzioni più aspre, ma, come riconosciuto anche dal Comitato dei Ministri, tali provvedimenti risultano essere ancora insufficienti, tenendo conto anche del malfunzionamento di molti tribunali.
Occorre una reale sinergia su più livelli tra tutti gli attori in campo, ossia servizi sociali, Forze dell’Ordine, Magistratura, sistema sanitario e scolastico, quest’ultimo fondamentale per la formazione di cittadini, di uomini consapevoli dell’eguaglianza di genere.
L’adozione di misure di sicurezza efficaci e a immediata esecuzione dovrebbe accompagnarsi alla predisposizione di un serio percorso riabilitativo psicologico a sostegno non soltanto della donna vittima di violenza, ma anche soprattutto, ove presenti, dei figli, soggetti più fragili in questo tipo di situazione. Meccanismi di supporto a facile accessibilità e aperti a tutti, nel rispetto del desiderio di riservatezza.
I Centri Antiviolenza e le Case Rifugio meriterebbero un ripensamento nel loro funzionamento e un adeguamento strutturale che renda possibile costruire una risposta utile, dal punto di vista quantitativo e qualitativo, alla richiesta di accoglienza. Il risultato può essere perseguito soltanto prestando maggiore attenzione nella distribuzione delle risorse a disposizione, con inevitabile partecipazione alle voci di spesa pubblica.
Di SIMONA MATTEUCCI e ASSUNTA BAGNO