AMMORTIZZATORE SOCIALE UNIVERSALE
Oltre irragionevoli disparità
La crisi economica innescata dal diffondersi della pandemia ha contribuito ad acuire la moltitudine di diseguaglianze – sociali, economiche e territoriali –, mettendo in luce i limiti di un sistema di protezione e, in particolare, di ammortizzatori sociali, che si è mostrato incapace di tutelare tutte le categorie e i soggetti bisognosi di supporto, e di fornire prestazioni di entità e durata adeguata a tutti coloro che ne hanno diritto.
Ha, altresì, evidenziato l’eterogenea copertura dell’attuale sistema degli ammortizzatori sociali, alimentando le diseguaglianze già presenti nel mercato del lavoro. A queste si aggiungono ulteriori disparità e confusione generate dagli interventi in deroga, che hanno il fine di tamponare in modo solo estemporaneo criticità specifiche per settori e ambiti territoriali.
La conseguenza è che vengono offerte scarse garanzie in punto di adeguatezza degli interventi e qualità della implementazione.
In tale contesto di indebolimento della struttura produttiva, già fiaccata da precedenti recessioni, e di perdurante incertezza circa i tempi e le modalità di uscita dall’emergenza, l’edificazione di un sistema di ammortizzatori universale risulta essenziale per la ripresa e l’utile valorizzazione del PNRR.
Già prima della sopravvenienza pandemica, bassi salari, lavoro precario e domanda interna stagnante, in uno alla carenza di investimenti e all’abbandono di valide politiche industriali, erano cause primarie del declino economico italiano.
Ed è per questo che, oltre alle utilità del Piano Nazionale per la Ripresa e la Resilienza, non agire sul fronte dei redditi e della riduzione dell’incertezza che grava sulle frange più fragili del mercato del lavoro porterebbe con sé il rischio di vanificare ogni sforzo.
Devono essere chiari gli obbiettivi della riforma del sistema degli ammortizzatori sociali.
Occorre, per un verso, puntare alla semplificazione, e, per l’altro, ampliare la platea dei destinatari.
È necessario un ‘unico’ ammortizzatore, ‘universale’, che interessi tutte le categorie occupazionali, senza, ovviamente, ignorare la profonda diversità tra ambiti lavorativi dal punto di vista oggettivo e soggettivo.
Attualmente riforma prevede:
– la modifica della CIGS, che avrà un unico massimale di 1.199,77 €, e sarà estesa a tutti i settori e riconosciuta a tutte le imprese con più di 15 dipendenti, per causali di riorganizzazione aziendale, crisi aziendale e contratto di solidarietà;
– l’ampliamento del FIS, Fondo di Integrazione Salariale, che sarà esteso a tutti i datori di lavori appartenenti a settori e tipologie non rientranti nella CIGO (Cassa Integrazione Guadagni Ordinaria), che non abbiano aderito ad un fondo di solidarietà bilaterale, e che occupino almeno un dipendete;
– la ridefinizione dell’ambito di applicazione dei FSB, relativamente ai quali viene assicurata la copertura anche alle micro imprese (e dunque anche per questo strumento è prevista l’applicazione a tutti i datori di lavoro che occupino almeno un dipendente). I settori ad oggi non coperti dovranno attivarsi con accordi tra le parti sociali per istituirli entro il prossimo 31 dicembre.
I Fondi dovranno altresì stabilire prestazioni di durata almeno pari ai trattamenti di integrazione salariale, a seconda della soglia dimensionale dell’impresa e della causale invocata, e l’importo dell’assegno non potrà essere più basso della Cassa Integrazione.
La riforma opera, inoltre, una modifica anche con riferimento alle causali di intervento.
Viene non soltanto ampliata la causale della «riorganizzazione aziendale», facendovi rientrare anche i casi in cui le aziende vi ricorrano per realizzare processi di transizione, ma sono anche apportate modifiche anche alle disposizioni relative al programma di riorganizzazione aziendale, stabilendo che il recupero occupazionale potrà essere realizzato anche mediante la riqualificazione professionale dei lavoratori e il potenziamento delle loro competenze.
Aspetto, questo, di peculiare importanza, perché espressione evidente della circostanza che, nel quadro degli ammortizzatori sociali, c’è la volontà, che non si può non accogliere positivamente, di muoversi nella direzione della ‘universalità’.
Ciò considerato, sembra necessario altresì:
– rimuovere ogni disparità nell’accesso alle prestazioni di sostegno al reddito e rendere la rete di protezione tempestiva e efficace a prescindere dal settore, dalle dimensioni d’impresa e dalla natura contrattuale dei rapporti di lavoro;
– sanare, per quanto possibile, le criticità emerse sia nel corso dell’emergenza pandemica sia in epoca precedente, sia per quanto riguarda l’eccessiva frammentazione del sistema di integrazione al reddito e le disparità in termini di entità e tempestività delle prestazioni, sia per ciò che concerne le penalizzazioni che attualmente subiscono i soggetti dotati di contratto a tempo parziale e temporaneo, nonché quelli con percorsi di carriera e contributivi intermittenti relativamente all’accesso, all’entità e alla durata delle prestazioni, con riferimento sia all’integrazione in costanza di rapporto di lavoro, sia ai sussidi di disoccupazione;
– puntare a un universalismo differenziato: il sistema deve essere in grado di garantire a tutti, a prescindere dal settore, dalle dimensioni dell’impresa, dalla categoria occupazionale e dalla tipologia contrattuale, una rete di protezione economica adeguata per quanto concerne entità e durata.