Ancora sulla cittadinanza: MI a favore di uno svecchiamento della normativa in vigore
Tema dell’estate è stato quello dell’immigrazione e dei termini di concessione della cittadinanza italiana.
Si propone, tra le altre cose, di sospendere la cittadinanza a coloro che commettono reati contro lo Stato o la persona. In particolare, dovrebbero prevedersi due distinte misure: ricusare la cittadinanza allo straniero condannato ovvero sospendere il procedimento di riconoscimento allo straniero imputato per gravi delitti.
Per vero, la legge sulla cittadinanza in vigore, all’art. 6, già dispone che sia ostativa al riconoscimento di essa la condanna dello straniero e anzi, a una lettura attenta, forse la formulazione attuale è addirittura più rigorosa di quanto a prima battuta appaia la proposta oggi in discussione.
La semplice lettura del testo consente immediatamente di cogliere che, oltre ai delitti contro la personalità dello Stato (art. 6 lett. a, l. n. 91/92), in realtà la causa ostativa al riconoscimento dello status di cittadino opererebbe addirittura per qualsiasi delitto non colposo (e non politico se accertato all’estero – lett. b) – purché entro una specifica soglia di rilevanza sanzionatoria, senza che il provvedimento preclusivo sia ridotto ai soli delitti contro la persona (che inevitabilmente sono ampiamente ricompresi nell’alveo della norma).
Meritocrazia Italia da sempre reputa che la normativa in materia di cittadinanza meriti aggiornamento sia per garantirle attualità, essendo profondamente mutato il contesto esterno di riferimento, sia per dare una risposta seria ai temi dell’immigrazione e del trattamento dello straniero. È però necessario invocare un doveroso distanziamento dai sensazionalismi, soprattutto se alimentati dallo sciacallaggio demagogico che strumentalizza singoli episodi di cronaca nera (vedi da ultimo il caso Sharon Verzeni) per rilanciare argomenti che, dato il loro grande impatto sociale e politico, devono essere affrontati in modo lucido e tecnico.
Inoltre, quando nella legge si dice che la riabilitazione elimina gli effetti preclusivi della condanna alla concessione della cittadinanza, di fatto essa implica che tra condanna penale e cittadinanza vi sia antagonismo, ma ciò a sua volta presuppone che colui che è stato condannato non sia ancora cittadino; e non potrebbe essere altrimenti, perché un’interpretazione diversa, oltre che contra legem sul piano letterale, potrebbe essere addirittura soggetta a sindacato di legittimità costituzionale se applicata tout court.
A ogni modo, pur ritenendo necessario un ripensamento generale delle regole in materia di riconoscimento della cittadinanza a tutto tondo, si aderisce alla necessità di riconfermare la sospensione della procedura per l’acquisizione della cittadinanza quando essa è in fase di svolgimento e coordinarla con quella amministrativa legata al rilascio/rinnovo del permesso di soggiorno che forse sarebbe l’ambito che meglio si presterebbe a garantire le esigenze di sicurezza dello Stato e consentire l’espulsione dello straniero che si sia macchiato di un grave delitto (eventualmente anche prevedendo che l’esecuzione della pena avvenga nel paese di provenienza – il che consentirebbe di alleggerire anche il sistema penitenziario); si ritiene, inoltre, di poter in linea di principio accogliere anche l’eventualità di prevedere un periodo transitorio di consolidamento dopo l’avvenuto riconoscimento della cittadinanza, per cui essa sarebbe revocabile se, entro un certo arco di tempo, determinato e ragionevole, il soggetto risulti condannato per reati gravi, tuttavia allo stesso modo si invoca equilibrio e razionalità nelle scelte politiche.
Stop war.