Baby influencer: clamoroso il vuoto normativo a fronte di rischi altissimi

Baby influencer: clamoroso il vuoto normativo a fronte di rischi altissimi

Rayan Kaji, 9 anni e con una bacheca da 30 milioni di follower, è lo youtuber più pagato al mondo.
Taytum e Oakley hanno 5 anni e posano sui social davanti ai loro 3 milioni di seguaci come delle adulte.

Sono gli esempi più estremi della nuova forma che il lavoro minorile sta assumendo con la diffusione dei social network. Il passaggio dall’anonimato alla notorietà è sempre più semplice e veloce e si sta consolidando una nuova generazione, identificata dagli esperti come la generazione dei ‘baby influencer’.
In Italia, secondo i dati raccolti da ‘Save The Children’, sono già 336.000 bambini, tra i 7 e i 15 anni, ad aver avuto esperienze di lavoro.
I baby influencer, aiutati dei loro genitori, accumulano milioni di follower che, a loro volta, generano introiti significativi attraverso la condivisione della loro vita, bypassando così anche il limite di età di iscrizione ai social network, che è di 14 anni.

Le preoccupazioni non sono poche e Meritocrazia Italia chiede che si intervenga per la tutela dei minori in termini di privacy – per prevenire eventuali furti d’identità e abusi e commercializzazione dell’immagine – che ha conseguenze sulla reputazione, sovraesponendo giovanissimi a critiche, giudizi, bullismo, con una incidenza negativa sulla crescita individuale. Serve anche una maggiore tutela contro la possibile manipolazione da parte dei brand, che hanno come unico obiettivo il guadagno, senza tener conto delle esigenze del minore.

Dal punto di vista normativo, il vuoto è clamoroso.
Non esiste una normativa specifica sui baby influencer. Restano le leggi generali sul lavoro minorile, sulla privacy e sul consenso genitoriale, ma, si sa, la Rete sfugge a controlli reali e si propone come zona franca da limiti, divieti e tutele.

Meritocrazia Italia, oltre a chiedere con forza adeguata regolazione, rivolge un appello accorato ai genitori, affinché agiscano nell’interesse dei propri figli e vadano oltre le lusinghe del gradimento mediatico e dei facili guadagni, a beneficio di modelli educativi più seri e adeguati.
I diritti dell’infanzia non siano sacrificati sull’altare delle ambizioni e dei desideri di genitori, brand e social media.

Stop war.



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