Caso Cecchettin: la violenza sulle donne si combatte con la Cultura, non con il giustizialismo
Ancora forti l’indignazione e lo sconcerto per la drammatica morte di Giulia Cecchettin.
Il giovane responsabile ha raggiunto l’Italia ed è stato assicurato alla Giustizia, che farà il suo corso.
Mai come in questo periodo si leggono violente frasi d’odio, non soltanto nei suoi confronti, ma anche nei confronti dei suoi difensori, verso i quali sono rivolte minacce e intimidazioni.
Si dimentica che la difesa è un diritto fondamentale garantito dalla Costituzione e dalle convenzioni internazionali a ciascun cittadino in quanto Persona. Il ruolo del difensore merita rispetto, perché, se svolto con professionalità ed etica, è sempre al servizio dei diritti fondamentali dei singoli e a presidio dello stesso fondamento dello Stato di diritto.
Tutti gli uomini sono uguali di fronte alla legge. Tutti gli uomini hanno gli stessi diritti e le stesse garanzie di un processo equo.
La colpevolezza del singolo deve essere sempre il risultato di una valutazione imparziale del giudice, secondo le risultanze istruttorie di un processo che si svolga in tempi adeguati, un giudizio articolato sull’indagine e la comparazione di tutte le circostanze, oggettive e soggettive, nel pieno del contraddittorio e nel quale l’imputato, che è tale fino a sentenza effettiva, abbia la possibilità di esporre le proprie ragioni.
Ogni eventuale condanna deve seguire la decisione di un giudice, non precederla nella costruzione di una gogna mediatica, aggravata dalla ferocia di un popolo giustizialista.
La pena sia sempre quella reputata più adeguata in relazione all’applicazione delle norme di diritto e ai fatti rilevanti, non quella decisa dalla massa deli spettatori sulla base del clamore sollevato da una stampa che non può conoscere tutto e che non tutto riferisce secondo verità.
Meritocrazia sollecita i cittadini a un fare maggiormente costruttivo. Perché l’odio non si combatte con l’odio, ma con l’educazione al rispetto.
Stop war.