Confisca beni da attività mafiose: il successo della strategia sta nella collaborazione pubblico-privato

Confisca beni da attività mafiose: il successo della strategia sta nella collaborazione pubblico-privato

Al fine di indebolire l’infiltrazione delle mafie nel tessuto sociale, è previsto lo spossessamento dei beni frutto di attività illecite. Puntare alla confisca dei possedimenti della criminalità organizzata significa minare la forza economica dei clan, così impedendone l’espansione sul territorio.
Una strategia tutta italiana apprezzata nel resto del mondo e che mostra utilità anche con riferimento a grande evasione fiscale e reati contro la p.a.

I beni sottratti sono acquisiti al patrimonio dello Stato. Un organismo ad hoc, l’Agenzia Nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei Beni Sequestrati e Confiscati alla criminalità organizzata (ANBSC), ha il compito di deciderne la destinazione e, se del caso, procedere alla vendita e al versamento del ricavato al Fondo Unico per la Giustizia.
Per i beni immobili, è prevista l’utilizzazione diretta da parte dello Stato per fini sociali ovvero il trasferimento agli enti locali che potranno gestirli autonomamente o assegnarli in concessione, a titolo gratuito, ad associazioni del terzo settore. Si è, poi, reso possibile il trasferimento dei beni confiscati anche alle Città metropolitane ed è stata soppressa l’assegnazione automatica ai Comuni, prevista dalla legislazione vigente, con concessione a titolo gratuito ad associazioni, comunità o enti per il recupero di tossicodipendenti operanti nel territorio ove è sito l’immobile confiscato.

Con la l. n. 132 del 2018, di conversione del d.l. n. 114 del 2018, si è tentato di snellire la procedura finalizzata al riutilizzo del bene. Le lungaggini processuali conducevano a una perdita di valore del bene o, nel peggiore dei casi, a un suo deterioramento, perimento o perdita di produttività.
Il problema non è del tutto risolto.
L’elevato numero di immobili e di aziende delle quali l’Agenzia deve farsi carico comporta, il più delle volte, una oggettiva impossibilità di individuare l’appropriata destinazione e, di conseguenza, l’abbandono di fatto del bene confiscato. Un limite importantissimo.
Lo strumento funziona nella misura in cui alla fase repressiva della confisca segue l’effettiva valorizzazione del bene.
Pur non mancando esperienze virtuose di immobili destinati a centro di recupero per tossicodipendenti o di assistenza anziani e a luogo di interesse sociale e culturale, le inefficienze sono tante.

La legge che prevede il riutilizzo a fini sociali delle ricchezze illecite presenta ancora notevoli criticità, specie sotto il profilo dei meccanismi di attuazione. Meritocrazia Italia sollecita una revisione del sistema, puntando anche sulla trasparenza e sulla migliore accessibilità alle informazioni riguardanti i beni confiscati, per stimolare la partecipazione di cittadini e imprese ai processi di recupero. Favorire la collaborazione tra pubblico e privato e incoraggiare le occasioni di partecipazione della società civile potrebbe rappresentare una leva decisiva.

Stop war.



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