Contro la crescente povertà MI avanza proposte di adeguamento salariale
Cresce il numero delle famiglie in difficoltà. E purtroppo la cosa non stupisce.
La devalutazione monetaria, infatti, è stata pari al 35,09%. Vuol dire, per intendersi, che, se nel 2000 1.000,00 euro valevano 1.000,00 euro, oggi valgono all’incirca 649,00 euro, con una riduzione di ben 351,00 euro del valore in potere di acquisto.
L’inflazione nominale (quella da dati ufficiali, l’ufficiosa è ben più alta) è pari al 37,9%: per acquistare gli stessi beni inseriti nel paniere di rilevazione occorrono più euro.
In molti individuano nella pandemia e nelle guerre in atto i fattori incentivanti, ma si tratta solo di eventi concorrenti. Non si può deresponsabilizzare la politica europea, con le scelte di austerità. Valgono anche i precari equilibri internazionali.
A fronte di ciò, comunque, la conservazione del medesimo tenore di vita delle famiglie e dei lavoratori avrebbe imposto un corrispondente aumento delle entrate, in parallelo a una rivalutazione dei salari, che fino al 1992 era garantita da quel meccanismo chiamato “scala mobile”, di fatto eliminato e non sostituito in modo appropriato dal sistema di contrattazione collettiva.
I risultati sono evidenti, con una rivalutazione del reddito medio pro capite fino al 2010, una stagnazione dal 2012 al 2019, e una contrazione dal 2020 ad oggi. Il tutto in uno a privatizzazioni degli asset nazionali, riduzione della produzione industriale e diminuzione, per ragioni di bilancio, dei servizi offerti ai cittadini.
Il pur auspicato taglio del cuneo fiscale non basta, insufficiente a ristabilire equilibri che gioverebbero ai consumi e a una rinnovata equità sociale. Come resta del tutto irrilevante la discussione sul salario minimo, marginale rispetto al fenomeno della crescente povertà del Paese.
Bisognerebbe piuttosto prendere atto che la politica di contrazione salariale, che in linea teorica avrebbe dovuto far trovare nuova competitività alle nostre aziende, è stata fallimentare e si è arenata su quella concorrenza intra-europea che, in Italia, ha destabilizzato i principi di filiera.
Meritocrazia Italia reputa improcrastinabile il riassetto della redistribuzione della ricchezza attraverso azioni che possano produrre nuovi equilibri, e per tali ragioni propone:
– la creazione di un sistema di adeguamento automatico dei salari/stipendi al potere di acquisto, triennale in caso di carenza di accordi da contrattazione collettiva e comunque al raggiungimento di un cumulo inflattivo pari o superiore al 10%;
– l’inserimento diffuso della partecipazione agli utili dei lavoratori, con meccanismi che leghino i salari alla capacità di profitto aziendale;
– uno sconto progressivo impositivo sui premi di produzione o sui meccanismi di partecipazione agli utili dei lavoratori;
– la promozione di strumenti di welfare aziendale, attraverso il rafforzamento della deducibilità, al fine di offrire maggiore potere di acquisto ai lavoratori attraverso la messa a disposizione di servizi.
Stop war.