Contro la violenza giovanile, inclusione ed educazione alla solidarietà
I recenti fatti di cronaca riportano l’allarme sociale sulla piaga della violenza giovanile.
I numeri allarmano. Si acuisce il fenomeno delle baby gang, aggravato dalle difficoltà anche economiche alle quali sono esposte le famiglie, dall’alto grado di dispersione scolastica e dall’inoccupazione lavorativa.
Giocano un ruolo decisivo lo sviluppo tecnologico e l’uso distorto dei social network.
Proprio sull’onda emotiva provocata dai noti fatti di cronaca avvenuti a Caivano, il Governo ha varato il d.l. n. 123/2023 recante “misure urgenti di contrasto al disagio giovanile, alla povertà educativa e alla criminalità minorile, nonché per la sicurezza dei minori in ambito digitale”, di recente convertito in legge. Se già in sede di decretazione d’urgenza erano sorte non poche perplessità sulla concreta efficacia dell’intervento normativo, i dubbi oggi non sembrano sopiti.
La misura è per certo insufficiente.
La vera sfida, alla quale non ci si può più sottrarre, è quella di cercare di sradicare la cultura delinquenziale attorno ai giovani, che garantisce complicità, omertà e sostegni.
Sono necessarie concrete azioni e interventi sinergici fra le diverse Istituzioni, mirate allo sviluppo di percorsi di educazione alla legalità e alla partecipazione attiva nella società civile, dando importanza al ruolo delle scuole e delle famiglie, e sviluppando interventi mirati che possano fungere da antidoto alla devianza e all’illegalità, contribuendo a creare una generazione consapevole e impegnata. È indispensabile intervenire su più livelli: educativo, preventivo e riabilitativo, prima che repressivo, ed è fondamentale promuovere una cultura del rispetto, della legalità e della convivenza civile tra i giovani, attraverso percorsi formativi nelle scuole, nelle famiglie e nelle comunità. È importante anche offrire ai giovani opportunità di crescita personale e professionale, valorizzando le loro potenzialità e i loro talenti.
In questa ottica Meritocrazia Italia ha già mostrato la propria condivisione per la proposta di introdurre una mini naja, di poco più di un mese, su base volontaria e con la possibilità di ricevere crediti nello studio, o nei concorsi, per chi deciderà di seguire il percorso militare. L’iniziativa potrebbe avere importanti ricadute sulla formazione dei giovani: si tratterebbe di offrire la possibilità di fare un’esperienza concreta a servizio del Paese, imparando a condividere e donando qualche ora del proprio tempo a servizio degli altri. Non si tratterebbe di imparare a sparare, marciare e combattere, ma di mettersi al servizio della comunità in caso di necessità (alluvione, terremoti, catastrofi ambientali), imparando le basi del primo soccorso e della topografia. Si potrebbe anche imparare a guidare un’automobile, un camion o un’ambulanza, a utilizzare un defibrillatore, a realizzare un ponte radio o a allestire un campo attrezzato. Dopo il primo periodo di addestramento, si potrebbe proseguire partecipando alle attività delle varie associazioni d’Arma come, ad esempio, quella degli Alpini, dei Paracadutisti, degli ufficiali in congedo o nei gruppi della Protezione Civile accrescendo le proprie competenze e rinsaldando il legame tra forze armate e cittadini.
Un modo per sperimentare forme di vera solidarietà sociale, vincendo quella noia che, troppo spesso, spinge i giovani all’indolenza, che spesso si traduce in trasgressione e violenza.
Lo strumento si presterebbe, inoltre, a favorire il recupero e il reinserimento sociale dei giovani che hanno commesso reati, attraverso percorsi individualizzati che prevedano anche il coinvolgimento delle famiglie, delle comunità educative e delle reti territoriali.
Stop war.