Criminalità minorile
Dal decreto Caivano al valore della cultura
I casi di criminalità minorile sono, purtroppo, in drammatico aumento.
Secondo diverse opinioni, il fenomeno sarebbe provocato da una strana accelerazione degli impulsi, non ultimi quelli sessuali. Complice è l’uso improprio dei social network, che sembrano aprire finestre sempre più ampie sul mondo, provocando una distorsione delle dimensioni temporali dello sviluppo psico-fisico dei minori.
La nuova spinta evolutiva ha posto seri interrogativi all’universo giuridico, fermo sulle classiche nozioni di ‘maturità’ e ‘capacità di discernimento’, anacronistiche alla luce della effettiva evoluzione sociale.
L’ordinamento prevede l’imputabilità a partire dal quattordicesimo anno di età, dove per imputabilità si intende la capacità del minore di essere sottoposto a giudizio, nonché a condanna, nelle ipotesi di condotte criminose.
A ispirare il principio sono le esigenze di tutela e di destigmatizzazione del minore di 14 anni, al quale deve essere garantita una rapida fuoriuscita dal circuito penale al fine di scongiurare il rischio di vanificare del tutto ogni percorso (ri)educativo.
Considerando che oggi il minore è più facilmente a conoscenza di situazioni, fatti e profili che in precedenza venivano acquisiti in più tempo (o mai acquisiti), è possibile ritenere l’infraquattordicenne ancora non imputabile?
È chiaro che l’intero corredo accusatorio viene inevitabilmente messo in discussione dalla presenza di nuovi individui che si potrebbero dire a metà strada tra giovane e adulto, senza essere né l’uno né l’altro.
Vale, però, la pena soffermarsi su un aspetto che gioca un ruolo fondamentale nelle future scelte di politica criminale e legislativa.
Se è vero che con i social i minori acquisiscono tantissime informazioni, bisogna ammettere che questo processo non sempre è in grado di creare una vera connessione logica dei pacchetti informativi a disposizione, per via del difetto di esperienza empirica, che dovrebbe contribuire ad accrescere la capacità di discernimento tra “giusto” e “sbagliato”.
D’altro lato, è evidente che i giovani vivano nel confine tra realtà e mondo virtuale, una terra di mezzo nella quale perdono spesso l’orientamento e non riconoscono le emozioni, i sentimenti e il senso di giustizia e rispetto, assuefatti dalle “informazioni” senza contenuto.
A seguito dei notissimi fatti di cronaca, in questi giorni il Consiglio dei Ministri ha adottato il c.d. Decreto Caivano, rubricato «Misure urgenti di contrasto al disagio giovanile, alla povertà educativa e alla criminalità minorile».
Da una panoramica generale, risultano l’inasprimento di pene e l’estensione ai minori di misure di prevenzione riservate a soggetti in età adulta (es. daspo, pena aumentata a 5 anni per il reato di spaccio di stupefacenti nei casi di lieve entità).
Non mancano dubbi sulla adeguatezza o sulla sufficienza della scelta, specie nella direzione di sortire un’effettiva diminuzione della criminalità minorile, in considerazione del fatto che nessuna delle misure adottate sembra tener conto del reale problema di base, che ha matrice culturale.
Le lacune educative non si sanano con le punizioni, ma con la conoscenza.
La pena si deve reggere sempre su istanze di rieducazione.
Su questo occorre puntare.
Vanno offerti gli strumenti per la formazione dell’io e non per la repressione di una personalità ancora “in fieri”.
Sarà necessario, pertanto, prestare meglio l’orecchio al grido d’aiuto che le nuove generazioni lanciano, prima che le sabbie mobili della tecnologia e della deriva valoriale fagocitino per sempre quello che resta dell’umana essenza.