DAL REDDITO DI CITTADINANZA AL REDDITO DI INSERIMENTO
Politiche attive del lavoro
A distanza di due mesi dal decreto Sostegno dello scorso marzo, viene varato il decreto Sostegni bis.
Con particolare riguardo al ‘pacchetto lavoro’, se nel primo decreto era rivolta maggiore attenzione allo strumento del reddito di cittadinanza, rifinanziato per contrastare l’aumento della povertà procurato dalla crisi pandemica, nel nuovo vi sono evidenze di maggiore attenzione per una ripartenza economica basata sul rilancio del mercato del lavoro e sulle politiche attive a esso connesse.
Per perseguire tale obiettivo sono stati previsti contributi a fondo perduto per i titolari di partita Iva, e prorogate le irrisorie indennità per i lavoratori stagionali (soprattutto del settore turistico, agricolo, del mondo dello spettacolo e dello sport). Per i disoccupati e le fasce in difficoltà, è stato aggiunto ai sussidi già esistenti il reddito di rioccupazione, legato alla formazione, di cui potranno beneficiare i datori di lavoro per le assunzioni a tempo indeterminato, con sgravi contributivi a chi inserisce disoccupati ma con limite di 6 mesi, esclusi i lavoratori del settore agricolo e domestico.
Il reddito di emergenza è stato prorogato di ulteriori 4 mesi e lasciata ancora inalterata la situazione riguardante il reddito di cittadinanza nel suo insieme.
E’ noto che tale ultimo strumento, introdotto con d.l. 28 gennaio 2019, fu pensato come sostegno economico finalizzato al reinserimento nel mondo del lavoro e all’inclusione sociale.
Nelle previsioni, entro trenta giorni dal riconoscimento, sarebbe necessario presentare una dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro ed entro lo stesso termine il titolare del reddito e i componenti maggiorenni del suo nucleo familiare dovrebbero essere contattati dai centri per l’impiego per iniziare il percorso del c.d. ‘patto per il lavoro’.
Sulla base dei dati dell’osservatorio sul Rdc, ad un anno dalla sua istituzione, risultavano circa 1.650.000 domande pervenute, di cui 1.154.000 accolte e 56.000 decadute, circa 88.000 in lavorazione e 457.000 respinte o cancellate.
A fronte, dunque, di 915.600 nuclei familiari richiedenti e di quasi 2.4 milioni di persone coinvolte, sono state individuati circa 791.000 persone avviabili al lavoro.
Rispetto a questo primo ampio gruppo di persone, potenzialmente destinatario di un’offerta di lavoro, solo il 53% risultavano essere state convocate per il primo colloquio con i Centri per l’Impiego e quelli che successivamente hanno stipulato il patto di servizio risultavano essere pari al 30,4% dei beneficiari attivabili.
Considerata questa platea, dai dati Anpal risultavano aver trovato occupazione dall’avvio della misura al 18 dicembre 2019 il 3,1% del totale.
Si tratta di assunzioni non necessariamente riconducibili alle azioni concrete messe in atto per favorire l’inserimento occupazionale dei beneficiari della misura: basti pensare che, nel computo degli occupati, risultano comprese le assunzioni avvenute a partire da aprile 2019, mentre i navigator, ove attivati, hanno iniziato a essere operativi nei Centri per l’impiego non prima di Settembre-Ottobre 2019.
I dati del Presidente Anpal, del novembre 2020, riferiscono che il 25,7% di chi poteva accedere al ‘Patto per il lavoro’ ha avuto almeno un rapporto di lavoro dopo aver chiesto il Rdc, ma alla stessa data risultavano attivi solo il 14,1% di questi contratti, per cui i restanti erano già stati rescissi perchè scaduti o per altri motivi. Di questi ultimi, solo il 15,4% ha firmato un contratto a tempo indeterminato, il 4,1% di apprendistato e il 65% un contratto a termine, mentre i restanti hanno avuto collaborazioni o contratti intermittenti.
Altra incognita riguarda proprio la figura dei navigator, dipendenti di Anpal assunti per aiutare i beneficiari del Rdc a trovare lavoro: sono tremila in tutta Italia, ma dai dati non è possibile comprendere quanto il loro lavoro abbia influito sulla sottoscrizione dei contratti, ossia quanti contratti siano stati firmati con il loro aiuto e quanti in autonomia.
A differenza degli assegni erogati dall’Inps, il cui numero è diffuso ogni mese dall’ente stesso, non esiste un report periodico dal quale si può evincere quanti contratti siano stati firmati e di che tipo.
Altro notevole ritardo riguarda l’adesione ai PUC (Progetti Utili alla Collettività): chi riceve il sostegno economico dovrebbe dedicarvi dalle 8 alle 16 ore settimanali. Tali progetti dovrebbero essere organizzati dai Comuni in collaborazione con i Centri per l’impiego e Anpal, ma al momento risultano irrilevanti le convenzioni sottoscritte in tal senso.
Non ultimo, tra le criticità, il problema delle indebite percezioni del reddito di cittadinanza e dei sotterfugi utilizzati per percepirlo con stratagemmi a volte fantasiosi, così da trasformare uno strumento di contrasto alla povertà e di politica attiva del lavoro, almeno secondo le intenzioni, in strumento di mero assistenzialismo che arriva spesso a chi non ne avrebbe alcun bisogno. Solo nel 2019, a inizio operatività dello strumento, sono state 719 le persone denunciate dalla Guardia di Finanza fino ad arrivare ai primi due mesi del 2021 in cui il sostegno è stato revocato a 36000 nuclei familiari.
Risulta che, dal gennaio 2020 ad oggi, si è registrato un aumento di richiesta del 25,8% e che, da aprile 2019 a febbraio 2021, sono stati destinati ben 12,2 miliardi a reddito e pensione di cittadinanza con risultati ben lontani dalle aspettative, per cui logico arrivare a concludere che tale modalità di approccio va modificata puntando su strade ben diverse.
Dal fronte povertà, da evidenze della Direzione studi Inps nei primi 18 mesi di erogazione, su circa 9 milioni di persone in povertà solo il 14% riceve il reddito di cittadinanza e i poveri assoluti nel 2019 sono diminuiti solo di 447.000 unità nonostante il sussidio fosse percepito da 2,3 milioni di persone: fortemente selettivi per gli stranieri, penalizzate le famiglie numerose e svantaggiate le famiglie del Nord, che avendo un costo della vita maggiore ne percepiscono di meno in base ai parametri previsti.
Per quanto riguarda il Reddito di emergenza, introdotto con il d.l. Rilancio 2020, risultano aver fatto domanda 1.284.259 nuclei, di cui 628.407 domande sono state accolte.
Meritano di essere messi in luce, altresì,
– la mancanza di comunicazione e di coordinamento tra Regioni, Comuni, Centri per l’Impiego ed Anpal, e l’opacità circa il riparto di funzioni;
– la difficoltà di far incontrare domanda e offerta in un sistema integrato e aggiornato, anche per mancanza di chiarezza e informazione circa le effettive opportunità di impiego;
– la mancanza di abbinamento tra la lotta alla povertà e l’impegno alla promozione di politiche attive del lavoro, con maggiori investimenti in formazione;
– la crescita del sommerso (i percipienti preferiscono non dichiarare la propria attività in modo da integrarne i proventi ‘con un fisso mensile’ a base statale).
Ciò considerato, è essenziale:
– implementare la lotta al sommerso, attraverso azioni di controllo incrociato che si basino anche ma non soltanto su dati relativi al consumo e al tenore di vita goduto;
– trasformare il ‘reddito di cittadinanza’ in ‘reddito di inserimento’ finalizzato al recupero di una concreta politica e attività di avviamento al lavoro, con la previsione di una durata non superiore ai 18 mesi, con predisposizione di una banca dati informatica nazionale, ossia di un sistema informatizzato di machting domanda/offerta, e sburocratizzazione della c.d. economia on demand;
– ammettere l’accesso al reddito solo dopo che i lavoratori si siano già attivati in lavori socialmente utili e/o iscritti a corsi di formazione professionali e/o di approfondimento, con regolare frequenza e conseguimento di attestato di fine corso, comunque con un termine massimo non rinnovabile pari ai 18 mesi connessi allo strumento di sviluppo;
– rivedere i modelli di praticantato e/o tirocinio in essere, per garantire maggiore utilità formativa e migliori opportunità di assunzione;
– al fine di sostituire gli ammortizzatori sociali con un unico strumento di politica attiva del lavoro, abolire la Naspi che dovrebbe diventare parte integrante del nuovo sistema, in caso di perdita di lavoro e di carenza di opportunità nel trovarne e comunque legandola all’incapacità di sussistenza; a fine pandemia, in concomitanza con la ripresa economica, eliminare progressivamente la Cig con tale sistema;
– separare la parte assistenziale da quella di politica attiva del lavoro, prevedendo un nuovo strumento, autonomo, per la lotta alla povertà, il c.d. ‘reddito di sussistenza’.
Fonti
Inps “Osservatorio reddito/pensione di cittadinanza e Rem: i dati di maggio 2021”
www.anpal.gov.it “Nota periodica reddito di cittadinanza”
www.agendadigitale.eu “Reddito di cittadinanza: vantaggi e problemi della soluzione italiana”