Dall’inferno del sacrificio al paradiso della soddisfazione
Un funzionario di Satana, di lunga esperienza, Berlicche, invia al giovane nipote, Malacoda, diavolo apprendista, un serie di lettere con le indicazioni necessarie a istruirlo nell’arte di conquistare e dannare un essere umano a lui assegnato, il suo ‘paziente’.
In questa storia, si riscontra una comunicazione anomala. Si trasmette il senso della vita, del pensiero, dell’amore, della socialità, del piacere, del lavoro e della guerra, ma in maniera distorta, a scopo diabolico. Un espediente per portare gli uomini alla perdizione. Un catechismo infernale, costruito sul divertimento, che fa vedere le cose al rovescio. L’inferno non è un terribile buco nero, fatto di urla, terrore e disperazione, ma è un’azienda perfetta. Tutto questo nella narrazione di una contesa tra bene e male che vede sullo sfondo l’Inghilterra martoriata del secondo conflitto mondiale.
Clive Staples Lewis, ne ‘Le lettere di Berlicche’, parte dall’idea che il male supremo non è compiuto nei covi del crimine, ma nella normalità di tutti i giorni, e che l’inferno, trattato come una cosa negativa, è poi, nei fatti, desiderato da tutti.
Insomma, si mette a nudo il paradosso delle battaglie inutili che si conducono quotidianamente. All’affannosa corsa al guadagno maggiore, alla ricerca del nemico da sconfiggere, ad avere sempre ragione ed essere i migliori, a far promuovere o avere i voti più alti ai propri figli. Si cercano aiutini e scorciatoie, per raggiungere presto il risultato, scavalcando chi studia e si sacrifica.
È questo l’inferno, la terra del peccato, quella stessa che viene esaltata giornalmente e diventa la terra della perfezione.
‘Ti devi fare furbo’. È un’espressione che ancora si sente di frequente.
Poi, però, c’è anche un mondo controcorrente, che crede ancora nel Merito, nella competizione leale, che sa perdere e ammettere le sconfitte. È il mondo di chi si mette alla prova, riconosce i propri limiti e vuole migliorarsi davvero.
Non si nasce vincitori. Lo si diventa grazie al percorso seguito.
E invece chi non raggiunge il massimo dei voti è vessato, viene messo al margine, senza che sia dato valore a quanto, sia pure poco, è stato in grado di guadagnare con i propri sforzi.
Qualche tempo fa, in una trasmissione, uno sportivo molto noto rispondeva alla domanda sul modo in cui si fosse dotato di una personalità tale da resistere alle pressioni e diventare un campione internazionale raccontando che, da piccolo, a scuola, un giorno decise di non copiare il compito di francese, a differenza del resto della classe, prendendo un voto più basso degli altri. Fu allora, diceva, che capì che cosa voleva essere nella vita. Non una finta eccellenza, destinata a essere smascherata alla prima occasione utile, ma la verità del proprio impegno. Lì aveva scelto per la prima volta l’autenticità.
Questo probabilmente gli era stato insegnato dai genitori e dai nonni. I genitori possono fare moltissimo per trasmettere il senso di giustizia necessario a una società meritocratica. Che non si crea da sola, è sempre il frutto del laborioso sacrificio di tutti.
L’esempio che Meritocrazia Italia vuole portare avanti è questo. Muove controcorrente perché desidera combattere e vincere le battaglie più affascinanti.
Il paradiso, in realtà, è l’inferno reale, quello della sofferenza, dell’isolamento, spesso della sfiducia ma anche del coraggio. Invece l’inferno dell’algoritmo, della soluzione più facile, è la realtà da evitare.
Il paradiso è nella meraviglia dell’imperfezione.
Si può sempre migliorare. Si può sbagliare. Ma un piccolo passo fatto sulle proprie gambe, con il proprio sforzo, dà molta più soddisfazione di chilometri percorsi grazie a spinte e scorciatoie.
Se cominciasse a pensarla così anche chi assume la guida del Paese, forse tutto sarebbe diverso. Se a governare ovunque fosse chi ha davvero competenza e non insegue secondi fini di grandezza personale, non ci sarebbero conflitti così frequenti, né disservizi o derive culturali.
Concediamo una parte piccola del nostro tempo a promuovere questo pensiero, controcorrente. Per farla diventare la nuova tendenza che muta l’inferno del sacrificio nel paradiso della soddisfazione.