DEVIANZA FEMMINILE E INCLUSIONE LAVORATIVA
Opportunità di rinascita
La presenza femminile nel contesto delinquenziale è sempre stata piuttosto sporadica.
E’ pacificamente riconosciuto dalle scienze criminologiche e confermato dai dati statistici.
Il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap) riferisce che, al 31 dicembre 2020, su un totale di 53.364 detenuti, solo 2.255 erano donne (4% del totale), con una forte presenza di straniere.
Tuttavia, per quanto contenuto, il fenomeno non può essere sottovalutato, specie per le maggiori difficoltà riscontrate dalle detenute sul piano della reintegrazione sociale e della conservazione degli aspetti rieducativi della pena.
Le diversità di genere in quest’ambito meritano di essere indagate con scrupolo.
I percorsi di recupero, anzitutto, devono essere calibrati alle peculiari esigenze delle donne ed idonei a sradicare dalle storture del contesto di provenienza, aprendo nuove prospettive.
E’ certo che il passo verso il traguardo debba andare verso il lavoro, da sempre strumento primo di riacquisizione della dignità.
Molto è già stato fatto in questo senso.
L’Associazione ‘Rio Terà dei Pensieri’, in Veneto, propone alle detenute iniziative d’impegno già all’interno degli istituti di pena: dai laboratori di cosmetica a quelli per il confezionamento di borse, piccole sacche e portafogli in pvc, ad attività di tipo agricolo volte alla produzione di prodotti che vengono venduti nei mercati locali.
Circa 340 detenute (il 12% della popolazione femminile carceraria) sono state coinvolte, negli ultimi anni, da Soroptimist International Italia, in sessanta progetti, realizzati in trenta carceri italiane, funzionali a garantire alle detenute una formazione professionale qualificata, spendibile all’esterno del carcere.
Sono stati avviati corsi di gelateria artigianale, pasticceria, cake design, coltivazione di piante aromatiche, manutenzione del verde, d’arte e scrittura, sartoria, artigianato e beauty.
Sebbene l’incidenza economica di tali progetti non sia particolarmente rilevante, molto soddisfacenti sono gli esiti in termini di inclusione e recupero: 70 detenute hanno ottenuto il diploma di acconciatrice; 30 quello di gelateria artigianale Fabbri Master Class; 45, donne migranti e minori del carcere di Palermo, hanno ottenuto il diploma nel corso di caseificazione e lavorazione del latte.
Nel carcere di Bollate sono stati realizzati un ‘Beauty salon’ e un reparto nido con la ‘Navicella junior’, ossia una sala di lettura attrezzata.
Da menzionare, poi, ‘Made in carcere’, marchio nato nel 2007, dall’opera determinante di Luciana Delle Donne, fondatrice di Officina Creativa, cooperativa sociale non a scopo di lucro. Attivi i suoi progetti in molti penitenziari. Storica la Sartoria San Vittore a Milano, che ripara anche le toghe dei giudici. Unico il Banco Lotto n. 10, punto vendita dove si possono acquistare abiti realizzati nel carcere femminile della Giudecca di Venezia. All’avanguardia il laboratorio sartoriale “Gomito a Gomito”, del carcere di Bologna, dove le donne, fin dal 2010, seguono corsi di formazione e recuperano materiali di scarto.
Le iniziative virtuose sono tante, accomunate da una stessa filosofia sottesa: “Una seconda possibilità deve essere data a tutti, nondimeno a chi si è perso per strada“.
La formazione professionale e il lavoro nel binomio donne e carcere hanno un ruolo fondamentale. Sono la chiave di volta per il riscatto e l’affrancamento da ambiti di illiceità che creano legami difficili da recidere.
Per raggiungere il risultato servono costanza e tenacia; i frutti raccolti, in termini di auto responsabilizzazione, indipendenza, riacquisizione di fiducia in se stesse ed autostima rappresentano la giusta ricompensa ed il punto di partenza al di fuori del carcere.
Formare le detenute ad ampio raggio, affinché abbiano un’autosufficienza economica e, quindi, la forza di perseguire un cammino di liceità, è uno dei traguardi più ambiti e più soddisfacenti, perché riduce i fenomeni di emarginazione ed avvicina nuovi orizzonti.
Se tanto è stato realizzato, molto, però, deve essere ancora fatto.
E’ fondamentale anche un’accorta opera di accompagnamento e sostegno anche fuori dal carcere.
In questa prospettiva, sarà fondamentale:
– implementare il numero di psicologi e psicoterapeuti (oggi inadeguato) all’interno delle carceri, per il sostegno e il recupero dell’autostima e della fiducia;
– potenziare gli investimenti in corsi di Formazione di alto livello, a facile accesso e idonei a fare acquisire alle detenute competenze altamente professionali;
– favorire una più ampia cooperazione e sinergia tra Istituti penitenziari, Istituzioni, Enti, Associazioni e PMI locali, in modo da creare opportunità lavorative concrete al di fuori del sistema penitenziari e favorire così il definitivo abbandono di circuiti criminali e devianze;
– rafforzare al termine del percorso carcerario il monitoraggio ed il supporto esterno dei servizi territoriali, al fine di scongiurare ricadute nel reato;
– prevedere politiche di inclusione abitativa, per favorire le possibilità di stabilità di vita.
Il lavoro nel contesto esaminato assolve certamente la sua funzione primaria rieducativa e di reinserimento sociale. Al contempo rende effettivo il valore dell’indipendenza, quale strumento di effettiva rinascita e garanzia di un’esistenza libera e dignitosa.
Fonti:
Antigone.it
Polizia penitenziaria.it
repubblicadeglistagisti.it