DI-VISIONE
«L’arciere che si innamora del proprio arco, non coglie il bersaglio» [M. Scataglini]
È noto anche in Abruzzo il significato del termine ‘potenziale’; meno diffuso il senso dell’effettivo sacrificio necessario a trasformare in fatti concreti le mille opportunità che la Regione offre.
Fatte le dovute eccezioni nelle quali l’eccellenza diventa biglietto da visita a rappresentare piccole nicchie di territorio, restano intere aree la cui valorizzazione rimane pensiero ricorrente ma mai concretizzato. Terre di pittori, artisti, poeti, filosofi, atleti, politici, di un passato glorioso spesso raccontato come trita retorica, che oggi non sappiamo replicare.
Pur senza ambizione di replicare la gloria altrui, manca anche la capacità di essere, nel verso di acquisire un’identità precisa, innovativa, rappresentativa del territorio. Identità che siede all’innesto tra le veloci autostrade e i lentissimi tratturi, i prodotti industriali e l’unicità artigianale, costruzioni che toccano il cielo e piccoli gioielli architettonici la cui perfezione diventa divina.
L’Abruzzo ha in sé tutto: una storia antica che ha lasciato pagine scritte fin nella roccia, scrittori e poeti che hanno raccontato la nostra gente, da quella più umile a quella nobile, tradizioni antichissime le cui radici risiedono nella cultura popolare e religiosa generando una sorta di universo mistico, terreni fertili su cui far nascere semi antichi, viti generose che riescono a dar vita a un vino che è l’Abruzzo stesso, perché ne descrive ogni peculiarità. Ciò che spesso manca è la capacità di restare uniti e viaggiare verso un unico obiettivo.
Siamo rimasti divisi in popolazioni incapaci di comunicare tra loro, di rinunciare a una piccola parte del sé per abbracciare una visione più grande, un progetto globale.
Siamo, noi abruzzesi, spesso incapaci di avere fiducia in un futuro collettivo che possa portare sviluppo sull’intera Regione. Tendiamo a mantenere vivo il nostro piccolo facendo sforzi e sacrifici enormi, senza pensare di poter assumere una visione collettiva che potrebbe moltiplicare la visibilità e dimezzare lo sforzo.
Manca forse la determinazione a superare la propria zona di sicurezza a tutto vantaggio di un più facile atteggiamento di reiterato lamento disgiunto dall’impegno ad adoperarsi per un effettivo cambiamento.
Ma ciò che certamente troppo spesso manca, è il buon esempio, che ci si attende dalle Istituzioni, dalla politica, dalle amministrazioni, piccole o grandi che siano.
Dovremmo suonare nella stessa orchestra, intonare tutti la medesima canzone, con le voci più forti a coprire le piccole stonature. I territori dovrebbero essere coesi e spalleggiarsi, dovrebbero essere risorsa gli uni per gli altri, gli enti locali lavorare sul territorio per far rinascere l’interesse, le amministrazioni riaprire le scuole nei piccoli centri e stimolare la popolazione a tornare, a vivere il proprio territorio.
L’auspicio è che proprio nella collaborazione tra i territori si possa trovare la formula giusta per dar vita ad un progetto importante in cui ogni abruzzese sia attore e teatro allo stesso tempo nella rappresentazione di un nuovo, rinnovato e ritrovato spirito capace di fruire della bellezza dell’arco senza distogliere lo sguardo dal bersaglio.
Occorrerebbero
– la creazione di consorzi intesi alla valorizzazione del territorio in tutte le sue sfaccettature, che agiscano nell’interesse dell’intera Regione e non dei singoli;
– una mappatura dei luoghi di interesse che negli anni hanno perso la fruibilità e ripristinarne l’uso anche attingendo alle risorse dell’Unione europea;
– una revisione dei contratti di concessione in cui sia specificata la possibilità di revoca in caso di scelte che danneggino l’area o che non ne valorizzino le potenzialità, soprattutto in caso di mancata collaborazione coi i territori circostanti;
– il potenziamento culturale della regione attraverso manifestazioni artistiche nei borghi montani.
«Adesso che mi ci fai pensare, mi domando anch’io che cosa ho conservato di abruzzese e debbo dire, ahimè, tutto; cioè l’orgoglio di esserlo che mi riviene in gola quando meno me l’aspetto» [E. Flaiano]