DIGITAL DIVIDE E PNRR
Approfondimento e proposte
Era il 29 maggio del 1996 quando l’allora Vice-Presidente dell’Amministrazione Clinton utilizzò l’espressione ‘digital divide’ per indicare la ‘distanza’ esistente fra coloro che potevano fruire di informazioni tramite l’accesso alla Rete e quelli ai quali tale possibilità era preclusa.
Risale alla metà degli anni Novanta del secolo scorso la presa di coscienza che il mancato utilizzo di internet potrebbe dare luogo a una nuova forma di disuguaglianza sociale il cui superamento imporrebbe specifiche politiche pubbliche volte a garantire effettive condizioni di accesso alla Rete.
Secondo la classificazione maggiormente accreditata in materia è possibile distinguere tre tipi di divario digitale: globale, sociale e democratico.
Il primo si riferisce alle differenze esistenti tra Paesi più o meno sviluppati; il secondo riguarda le disuguaglianze esistenti all’interno di un singolo Paese; il terzo focalizza l’attenzione sulle condizioni di partecipazione alla vita politica e sociale in base all’uso o meno, efficace e consapevole, delle nuove tecnologie.
Quando si analizza il fenomeno del divario digitale, non si può non porre l’accento anche sul problema dell’assenza di conoscenze informatiche minime da parte di molti individui, che spesso non sono in grado di svolgere le più semplici attività virtuali configurabili nel cyberspazio.
Tra le categorie più minacciate dall’esclusione digitale vi sono i soggetti anziani (c.d. digital divide intergenerazionale), le donne non occupate o in particolari condizioni (c.d. digital divide di genere), gli immigrati (c.d. digital divide linguistico-culturale), le persone con disabilità, le persone detenute e, in generale, coloro che, essendo in possesso di bassi livelli di scolarizzazione e di istruzione, non sono in grado di utilizzare gli strumenti informatici.
In Italia, le situazioni più ricorrenti sono prevalentemente due:
– mancanza di copertura internet adeguata (anche digital divide infrastrutturale);
– scelta di non avere un abbonamento a internet (anche digital divide culturale).
Mentre la seconda è una situazione che, in considerazione dei costi ormai risibili di utilizzo di internet, è per lo più riconducibile alla determinazione consapevole di non avvalersi delle tecnologie telematiche, la prima assume dimensioni più rilevanti a causa della mancanza di una copertura di banda ultralarga, sempre più necessaria per una connessione adeguata.
Sotto il profilo infrastrutturale, mentre la copertura ultra-broadband di rete fissa (con una velocità pari ad almeno 30 Mbps) ha superato sul territorio nazionale l’85% della popolazione, a fine 2020 la copertura dei servizi FTTH (Fiber to the Home) era pari a meno di un 1/3 delle unità immobiliari presenti nel Paese.
Quello che è rimasto indietro è lo sviluppo del 5G: nel 2019 erano coperte Milano, Roma e Napoli, con coinvolgimento di circa il 10% della popolazione, ma per tutto il 2020, a causa anche dell’evento emergenziale, si è rimasti fermi a circa 10 grandi città coperte e pochi comuni.
Su queste premesse, tra gli obiettivi del PNRR vi è anche la copertura dell’intero territorio nazionale entro il 2025.
L’intervento ‘reti ultraveloci’ del PNRR può essere sintetizzato in tre obiettivi:
1. chiudere il digital divide nelle aree che sono rimaste fuori dagli interventi pubblici e privati degli ultimi 3-5 anni;
2. collegare edifici scolastici ed edifici del Servizio Sanitario Nazionale, situati in aree con un basso livello di infrastrutturazione;
3. connettere le aree remote del Paese per rendere eque e pervasive le tecnologie ultrabroadband su tutto il territorio nazionale, isole minori e aree a ‘fallimento mobile’.
Sotto il profilo del potenziamento delle capacità umane di utilizzo delle tecnologie telematiche, il PNRR si propone invece di
– trasformare la classi tradizionali in ‘connected learning environments’ con l’introduzione di dispositivi didattici connessi (missione 2, investimento 3.2);
– potenziare le competenze digitali del personale sanitario.
Nonostante tali ambiziosi obiettivi, il primo intervento posto in essere, con la bozza dell’approvando decreto semplificazioni, per dare attuazione al Piano di Ripresa nazionale, sembra tradirne le originarie intenzioni.
In essa, infatti, si scorgono prevalentemente procedure volte a semplificare il procedimento di autorizzazione alla installazione di infrastrutture di comunicazione elettronica e ad agevolare l’infrastrutturazione digitale degli immobili con reti in fibra ottica.
Si ritiene, poi, di poter superare il divario digitale, favorendo il sistema delle deleghe (che consente di accedere a uno o più servizi nell’interesse del delegante al soggetto delegato e titolare di identità digitale) e il potenziamento del sistema delle banche dati e dello scambio di informazioni tra le stesse.
Ma, gli interventi programmati, se per un verso mostrano opacità nella misura in cui non chiariscono come intendono colmare le lacune infrastrutturali esistenti (fermo restando che già solo quelli previsti non sono del tutto incisivi), per altro verso non sembrano rispondere al meglio agli obiettivi di superamento del digital divide, in tutti i suoi aspetti.
Manca, inoltre, la previsione di strumenti di formazione dei dipendenti pubblici volti a consentire l’acquisizione di competenze digitali e di utilizzo degli strumenti telematici.
È appena il caso di precisare che l’obiettivo non è insegnare a un medico o al personale sanitario a redigere una ricetta elettronica, ma far acquisire le competenze necessarie ad adottare soluzioni di intelligenza artificiale nell’assistenza sanitaria e nelle cure e capire se la data analytics può aiutare ad individuare la genesi di alcune malattie.
Non è chiaro neppure come si intende concepire e dare attuazione all’apprendimento delle competenze digitali nelle scuole. Anche qui il problema non è dotare le classi di un pc, di un tablet o di lavagne elettroniche ma offrire contenuti di apprendimento nuovi che consentano di superare il divario digitale facendo leva su un approccio interdisciplinare.
Appare meritevole di segnalazione la possibilità di considerare uno sviluppo del sistema di blockchain nei comparti nei quali risulta essenziale la tracciabilità e la sicurezza dei dati, come sanità (per la realizzazione di Archivi sui percorsi clinici dei pazienti), istruzione e lavoro (per la verifica delle competenze), giustizia (per le utilità dei token, oppure di smart contract per la soluzione delle controversie), ed energia (per waste management, settore idrico, distribuzione di gas, controllo dei consumi, pagamenti, filiere agroalimentari, sicurezza digitale, specie dei pagamenti, trasparenza, semplificazione, tracking in tempo reale, e contro sprechi, frodi, evasione fiscale e criminalità.
Perché l’annunciata rivoluzione tecnologica non finisca per ridursi alla mera, e poco utile, trasposizione in digitale delle procedure in essere, risulta pertanto fondamentale:
– puntare su una decisa campagna di alfabetizzazione digitale, che travolga sia il personale dipendente pubblico sia l’utenza;
– programmare migliori investimenti nella progettazione infrastrutturale di Rete sul territorio nazionale, passaggio fondamentale anche per il recupero di borghi e aree rurali e montane e per lo sviluppo del turismo di prossimità;
– procedere nell’opera d’informazione e formazione dell’utenza sulle potenzialità dei servizi digitali offerti dalla p.a., col beneficio della semplificazione delle procedure e del risparmio di tempo ed energie;
– programmare più significativi investimenti per l’aggiornamento e/o l’acquisto della dotazione strumentale necessaria nei settori della p.a., della sanità e scolastici;
– completare il processo di archiviazione elettronica della documentazione, già avviato ma con una lentezza inadeguata alle esigenze, e accelerare il processo di condivisione ed archiviazione dei dati trattati dalla p.a. in un’unica banca dati gestita attraverso il cloud della p.a. affidato ad un’impresa pubblica con cautele per la sicurezza nazionale;
– rivedere i processi fondamentali dell’organizzazione del pubblico impiego con introduzione di politiche aziendali di lavoro c.dd. di team e di interazione tra gli uffici, in uno alla implementazione della dotazione tecnologica e delle strutture ed al completamento del processo di digitalizzazione delle strutture pubbliche e private.
FONTI:
www.agedadigitale.eu