DIPENDENZA ENERGETICA

DIPENDENZA ENERGETICA

Occorre saper ascoltare i campanelli d’allarme

Già dal primo anno degli studi in Economia, si insegna agli studenti: ‘Mai avere un solo cliente, mai avere un solo fornitore’.
Se, infatti, sulle prime può sembrare utile in termini organizzativi, specie se consente di praticare condizioni più vantaggiose di quelle mediamente offerte dal mercato di riferimento, si rivela spesso controproducente per il monocommittente, che rischia di rimanere ‘ostaggio’ delle decisioni dell’unico cliente/fornitore.

È la situazione nella quale versano l’Europa e soprattutto l’Italia, Paese di grande tradizione, di eccellenze nell’industria di trasformazione, ma poco ricco di materie prime quali petrolio, gas, carbone, grano, metalli.
Il conflitto attualmente in corso tra Ucraina e Russia, con le conseguenze che porta con se anche sul piano delle forniture (gas e petrolio dalla seconda, grano e mais dalla prima), ha reso improvvisamente manifeste le difficoltà dovute alla mancanza di indipendenza nell’approvvigionamento di risorse strategiche.
Si appalesa con drammatica chiarezza la mancanza a livello nazionale ed europeo di un Piano di emergenza energetica (con iniziative e programmazione di breve e medio termine) e la riduzione degli investimenti sulle rinnovabili e l’efficientamento energetico, attuata dai governi dal 2011 al 2019, sconta la sua miopia, fra tante gravi omissioni.

L’idea da più lati avanzata è quella di riattivare le centrali a carbone. Questo, è certo, tradirebbe gli obiettivi di riduzione della CO2 per il 2030 e il 2050.
Parimenti, si suggerisce di implementare i gassificatori.
Ma se, da un lato, la prima soluzione non consentirebbe di dare risposta adeguata al fabbisogno, dall’altro v’è che il gas liquefatto a -172° e trasportato ‘via acqua’ costa molto più di quello importato con i gasdotti dalla Russia, anche in termini ambientali.

La contingenza spinge a puntare sulle energie rinnovabili, soprattutto in un Paese come l’Italia, dotato di un territorio morfologicamente dotato e che si presta maggiormente a più soluzioni.

Questo, però, implica una seria modifica della normativa in vigore, anche nel verso di semplificare le procedure per superare la zavorra burocratica, e implementare gli incentivi,
Urge un piano energetico nazionale che tenga conto anche dei mini e micro impianti, da installarsi non solo su terreni agricoli, ma anche su superfici degradate (es. siamo tra i primi in Europa per capannoni abbandonati).
Sino a che gli incentivi saranno gestiti tramite le banche ed erogati solo in funzione dei kW prodotti, senza facoltà di vendere l’energia prodotta in ottica di prossimità, i privati saranno fortemente disincentivati a produrre più di quanto loro necessita, con conseguente limite alla diffusione virtuosa della tecnologia alternativa.

Se i grandi impianti, solare, idrico ed eolico, sono appannaggio di grandi investitori e devono sottostare a maggiori controlli, soprattutto paesaggistici, quelli più piccoli dovrebbero essere più facili da installare.
Un esempio su tutti: la nuova diga foranea di Genova, per la quale la Sovraintendenza Speciale per il PNRR, sollevando un gran polverone, ha chiesto di stralciare dal progetto le pale eoliche, in quanto prevedeva turbine alte 50 metri laddove si sarebbe potuto preservarlo prevedendovi pale eoliche dell’altezza di 20 metri, meno produttive ma anche meno impattanti sul paesaggio.

Allo stato, il problema è più legislativo che tecnologico.

Occorre una regolazione chiara e di agevole attuazione, ispirata a ragionevolezza e davvero volta a incentivare le installazioni, la creazione di una rete decentrata di impianti di autoproduzione (in condomini, zone industriali e luoghi degradati), preservando il valore paesaggistico nazionale, e la possibilità di vendita diretta dell’energia elettrica.

L’ennesimo campanello d’allarme che la situazione attuale rappresenta si fa accorato invito a rimettere in equilibrio le ragioni dell’economia con quelle prioritarie della collettività e dell’ambiente.



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