DIVARIO TRA NORD E SUD: UNA QUESTIONE SOCIALE
Si crede che il divario territoriale tra Nord e Sud sia solo questione economica, di differenziale di reddito.
Meno diffusa la consapevolezza che, per rendere di pronta attuazione le opportunità di sviluppo, si deve investire anche sulle relazioni umane.
L’annosa questione meridionale è questione sociale, di nuove povertà, di diversi bisogni, di frammentazione del tessuto civile.
L’investimento da fare per uno sviluppo di stabilità e durata riguarda anzitutto il sociale, il contenimento dei livelli di abbandono e dispersione scolastici, la crescita delle opportunità occupazionali, il recupero infrastrutturale e la valorizzazione dei territori.
Questo vale soprattutto per la Calabria, terra ricca di potenziale inespresso e risorse non sfruttate, che basterebbero a restituire alla Regione un ruolo da protagonista.
Gioca un ruolo decisivo, insomma, il recupero della coesione sociale, che non è solo senso di appartenenza a una comunità, ma è azione di solidarietà diretta ad abbattere barriere e disparità sociali di natura culturale, etnica, genere o economica. Il problema di uno deve essere il problema di tutti.
In questa direzione, importante è il contributo dato dal terzo settore e del mondo del volontariato, dell’associazionismo, della cooperazione sociale e in generale del no profit, portatore di buone pratiche nel territorio, di inclusione e sussidiarietà.
Ma non basta.
Per il benessere collettivo serve, tra l’altro,
– un maggiore investimento in azione nel settore scuola, a partire da quella dell’obbligo, e nei servizi sociali;
– intervenire sul buon funzionamento della giustizia;
– dare sostegno alle attività produttive con interventi puntuali e selettivi.
Ma il settore che necessita maggiore attenzione è la coesione sanitaria. Il settore è profondamente disgregato.
È noto che la sanità, in Calabria, è afflitta da un commissariamento ormai quasi istituzionale, senza che sia mai stato possibile ridurre il debito, nonostante i tagli lineari dei servizi, dalle visite specialistiche alle assunzioni, dalle ambulanze alla medicina territoriale.
La disgregazione è emersa in maniera ancora più forte con la gestione della pandemia, con terapie intensive sottodimensionate e sotto-organizzate sia per strumentazione che per personale.
Ultimo scoglio, la somministrazione dei vaccini, entrata a regime solo con l’intervento dell’esercito.
Per curare il male della sanità in Calabria, bisogna procedere con
– la restituzione delle indennità ai medici che prestano la loro opera professionale sulle ambulanze,
– lo sblocco delle assunzioni prima per i reparti e le branche specialistiche più urgenti come anestesia e rianimazione e malattie infettive per poi coprire anche i posti rimasti vacanti a causa del blocco del ricambio generazionale negli ospedali senza assunzioni che andassero a coprire i pensionamenti,
– la ripartenza dell’edilizia sanitaria almeno per i cantieri rimasti incompiuti.
Per il ritorno a una sanità vicina al cittadino, più equa e quindi più coesa, che non consenta discriminazioni tra chi ha le possibilità economiche per curarsi fuori Regione e chi, rimanendo in Calabria, riesce a ottenere un servizio qualitativamente adeguato soltanto per strade non istituzionali.
Non va dimenticata neppure l’utilità della libera iniziativa economica privata in materia sanitaria.
Occorre ripartire dalle responsabilità e dall’amore per il territorio. È imprescindibile e doveroso.