Fermarsi, per salvare il salvabile
Non è semplice capire di che tipo di politica abbia oggi bisogno la società.
Né è facile capire come trovare spazio nella scena partitica per chi ha amore per la cosa pubblica e voglia dare il proprio contributo. Neppure è possibile prevedere che tipo di crescita serva al cittadino comune che desideri vivere appieno la libertà della partecipazione.
Nel 1994, Silvio Berlusconi, da imprenditore, decise di dare vita a un partito nuovo, Forza Italia. In pochi mesi, riuscì ad avere la meglio in sede elettorale, superando, in un’unica competizione, tutti i partiti tradizionali. Un fenomeno improvviso. Un’iniziativa pressoché individuale e autofinanziata. Non si promuoveva nessuna nuova ideologia e l’impronta era data da una leadership molto marcata. Portò un evidente sconvolgimento nella tradizione.
Dopo le prime critiche, l’esperienza fu variamente replicata da altri.
Nel 2007, Forza Italia e un altro partito di destra, Alleanza Nazionale, si fusero nel Popolo delle Libertà. Ancora una volta, nessuna combinazione ideologica, ma solo una mossa utile a rafforzare la posizione del leader. Fino a quando, durante una competizione elettorale, il Popolo delle Libertà non subì una scissione e si creò il nuovo centro-destra.
Forza Italia tenne e ritornò a costituirsi.
Tanti sostenitori dell’epoca non vivono più la politica attiva, ma Silvio Berlusconi si conferma ancora oggi forza di Governo, sebbene a capo di un partito più piccolo e con una percentuale di sostegno ridotta.
L’esempio è stato seguito da tanti e forse è anche così che la politica è stata contaminata da meccanismi di tipo imprenditoriale, per trasformarsi più di recente in campo di agguerrita contrapposizione.
Nei palazzi continuano a trovarsi compromessi a beneficio di pochi. Come quello che ha portato alla riduzione del numero dei parlamentari, senza il coraggio di procedere a una riforma della legge elettorale.
La solita, miope, logica dell’orticello, coltivato, volta per volta, da questa o quell’altra coalizione. Quella stessa logica che chiude al dialogo e non consente a chi vorrebbe di dare il proprio contributo. Quella logica che è nemica del cambiamento.
Apertura o chiusura dei porti, reddito di cittadinanza sì o reddito di cittadinanza no.
Così vengono sbrigativamente affrontati problemi cruciali. Senza lasciare spazio alle idee, e alimentando polemiche che distraggono da altre, importanti, priorità.
Allora davvero non si comprende che cosa possa spingere il cittadino comune a interessarsi del bene comune, senza lo stimolo di una politica che è ferma in uno stato di stagnazione, di cronica incertezza dialettica, ideologica, programmatica.
Ci sono drammi comuni, che dovrebbero unire tutti i Popoli in un’unica battaglia. Quella per la protezione del Pianeta dall’emergenza climatica, per esempio. Ma, a conti fatti, tutto tace.
Siamo dovuti andare sulla luna, abbiamo dovuto guardare il mondo da lontano, per scoprire quanto sia bello. Per dimenticarcene un istante dopo, e contribuire senza ritegno alla sua distruzione. Annebbiati dalle ambizioni di benessere economico, trascuriamo l’essenziale.
Questo egoismo senza misura porterà definitivamente alla rovina. Rende ciechi ai veri pericoli.
Per un certo periodo, ad esempio, abbiamo creduto che la pandemia fosse il male peggiore d’ogni tempo.
Ma quel male ci ha insegnato che serve fermarsi per salvare il salvabile. Che il primo responsabile del lento declino sociale è ciascuno di noi.