GLI EFFETTI COLLATERALI DELL’ANALFABETISMO AFFETTIVO
Il crollo delle certezze e il mutamento del tessuto sociale ha condotto i giovani a una crisi di valori ideali per cui tutto appare contingente; le istituzioni, già talvolta così lontane dal paese reale, appaiono distanti e incapaci di risolvere o solamente capire i loro problemi.
«Ciò che descrivo è la storia dei prossimi due secoli. Io descrivo ciò che viene: l’insorgere del nichilismo. Che cosa significa nichilismo? Significa che i valori supremi si svalutano. Manca lo scopo. Manca la risposta al “perché?”. Dunque non possiamo porre nessun aldilà o un “in sé” delle cose. Manca il valore, manca il senso. Risultato: i giudizi morali di valore sono negazioni: la morale è volgere le spalle alla volontà di esistere».
Così Friedrich Nietzche definisce il nichilismo, nei suoi frammenti postumi. Lui che tra i pionieri del nichilismo filosofico fu il pensatore più letto, saccheggiato, amato ci ha lasciato la rivelazione della corrosione e caduta dei valori e la rappresentazione dell’atteggiamento di disperazione e rivolta.
Non si esagera a trasferire il concetto al malessere giovanile. Siamo tutti responsabili. Perché questo malessere non ha più le sembianze del disagio adolescenziale ma quelle brute, violente, angosciose del disagio culturale.
Gli antichi greci usavano il verbo ‘skopeo’ per definire l’osservazione attenta, il ‘guardare dentro’ che regala senso alla parola scopo, come rampa di lancio verso l’avvenire.
Ma se neghiamo valore alla morale e perdiamo di vista l’obiettivo inciampiamo in una trappola priva di passato e sprovvista di futuro nella quale il tempo della nostra esistenza è relegata a quello di un freddo presente, rectius di una vita che appare senza senso.
I divertimenti sono tristi, encomio di sterili facciate, la droga nutrimento per sostenere la recita, il web meccanismo inconscio di gratificazione ma la ricerca della felicità è sfrenata e purtroppo irraggiungibile, per l’ostacolo dell’ignoranza di cosa sia esserlo davvero.
Ma torno a dirlo, siamo tutti responsabili: giovani, anziani, famiglie, scuola, società, tutti pavidamente temendo il mutamento, anziché riscrivere l’alfabeto delle nuove generazioni sul solco del mirevole percorso tracciato dai nostri predecessori, abbiamo scambiato per negazione dei valori ciò che era fisiologico mutamento del tessuto sociale.
E abbiamo lasciato i nostri giovani al mercato che, con sopraffina logica di profitto, riesce a comprendere i loro bisogni superficiali attirandoli in un ‘paese dei balocchi’ che frustra ancor più quelli profondi.
Noi che siamo genitori, insegnanti, istituzioni, custodi di sapere e di speranza conosciamo troppo tardi o non conosciamo affatto come i nostri ragazzi siano cresciuti nell’analfabetismo affettivo.
Noi che siamo scuola, istruiamo e non educhiamo.
Noi che siamo nonni e quel passato lo abbiamo vissuto, colpevolizziamo e minimizziamo la gravità dell’assenza di empatia dei giovani con i loro studi e di fatto, continuiamo a non dare loro la parola.
Ma è necessario riscrivere l’alfabeto delle nuove generazioni. Occorre un’altra idea di espressione e formazione. E tirare fuori il coraggio di svincolarsi dai meccanismi di piatta assuefazione per riscoprire la personalità dell’individuo e lo sviluppo delle inclinazioni.
Occorre essere contenitore delle istanze, paziente osservatore degli errori, amorevole stimolo a comprendere i perché, tutti, anche i più sconvolgenti.
E non è vero che conta solo la qualità, la quantità conta. Conta la dedizione. Conta il tempo che ci vuole a capire che ogni individuo è diverso dall’altro e a far capire l’immensa bellezza e funzionalità di questa diversità, che il senso di vuoto non è assordante silenzio ma percorso, che il percorso non è uguale per tutti e tenere per mano chi resta indietro è gratificazione e investimento.
I giovani hanno bisogno di espressione, di esperimento, di ricerca, di prova ed in questo spazio si eleva il più alto grado di responsabilità di chi guida, nel saper dare equilibrio a passato e presente senza temere di perdere identità affinché la storia e la formazione siano strumenti a servizio delle nuove generazioni e non le nuove generazioni a servizio di una società che ha consentito di disperdere i valori che hanno reso grande il nostro Paese.
E allora è tempo che adulti e ragazzi siano uniti, non ad ampliare il divario generazionale e culturale, ma a riscrivere l’abc che calmiera l’angoscia di guardare al futuro, che da slancio e motivazione all’impegno, che brucia il tempo della frustrazione degenerante.
Il nuovo alfabeto ha la A di anormale, per sancire definitivamente che il rigore e l’impegno vanno svincolati dalla omologazione; la B di benvenuto, per cancellare l’abitudine a varcare la soglia della formazione con il sussiego di chi va al patibolo perché niente è più attraente di essere accolti come la “star” più attesa, con un benvenuto che ha la stessa forza per tutti, di chiunque si tratti, da ovunque si provenga; la C di contaminazione, per smentire definitivamente l’esigenza di separare il vecchio dal nuovo, il classico dal contemporaneo, il ricco dal povero, il bianco dal nero e non perché le differenze non esistano ma perché imparare a focalizzare ed armonizzare quanto di prezioso c’è in esse crea forme di comunicazione e di espressione di valore sociale esponenziale che assurgono a ruolo strategico di promozione delle risorse.
Del resto, se invitassimo anche il più esuberante e trasgressivo dei giovani ad un party con gli ingredienti del nuovo abbecedario, riterrebbe che si tratti di una festa incredibile e non esiterebbe ad entrare. Provare per credere.
Di ANNAMARIA BELLO