GLI EFFETTI DEL COVID SULLA GIUSTIZIA NELLE MARCHE
“Le Marche sono un polso attraversato da tre arterie: la ferrovia, la statale adriatica e l’autostrada. È un ottimo luogo per vedere a che punto è la nostra febbre. La diagnosi è strana, fausta e infausta allo stesso tempo, stiamo guarendo e ci stiamo aggravando. Sembra di stare in un mondo morto, in un mondo che sta trovando la via per liberarsi dei morti che lo hanno dominato. Forse dipende dall’arteria che si tasta”.
Quest’immagine descrive la situazione delle Marche e l’evidente scollamento tra iniziative centrali e decisioni regionali. Ciò ha creato fin da subito dell’inizio dell’anno giudiziario caos e incertezze.
L’obiettivo del dirigente giudiziario nell’emergenza sanitaria è stato quello di conciliare la tutela della salute nei luoghi di lavoro con il dovere di garantire il servizio pubblico. Si è trattato di adottare le migliori soluzioni per mettere in sicurezza i palazzi di giustizia, per la difesa della salute collettiva in modo di evitare che gli edifici divenissero focolai di contagio, e di far utilizzare i dispositivi di protezione individuale, per la tutela dei lavoratori.
Per convivere con il virus in questo scenario, si è chiesto al dirigente giudiziario di essere non solo un manager ma anche un leader, munito della capacità di adattamento alla mutevole e cangiante situazione, di adottare soluzioni organizzative flessibili, di saper sopportare lo stress, di essere socialmente responsabile delle proprie decisioni. Insomma, un dirigente in grado di pensare ed agire con senso pratico, in modo razionale e secondo un’ottica progettuale, di promuovere e costruire rapporti relazionali, per un lavoro collettivo.
Con il trascorrere del tempo e l’esplosione del contagio, sono venuti all’evidenza i profili su cui concentrare l’attenzione, per evitare il pericolo di diffusione del contagio e contestualmente garantire il benessere fisico dei lavoratori: uso dei mezzi di protezione individuale, a cominciare dalle “mascherine”, installazione di strumentazione per la rilevazione della temperatura corporea all’ingresso degli edifici giudiziari, effettuazione dei test su soggetti sintomatici ed asintomatici.
Nonostante il lavoro agile fosse normativamente previsto con la l. n. 81 del 2017, tale modalità di esecuzione della prestazione lavorativa era di fatto ignota all’amministrazione giudiziaria, prima dell’emergenza sanitaria. L’obbligo di distanziamento nel luogo di lavoro e la necessità di istituire presidi, con poche persone fisicamente presenti in un numero strettamente indispensabile per garantire il funzionamento del servizio, hanno invitato all’adozione di forme agili di lavoro, con postazioni ubicate presso i propri domicili o presso uffici giudiziari, diversi da quello di appartenenza. In generale, a fronte all’imperativo di ridurre al minimo la presenza in ufficio, al dirigente si è posto il dilemma se imporre la fruizione di congedi ordinari, ai magistrati od al personale amministrativo, oppure se mantenere la tendenziale fruizione volontaria del congedo, previa consumazione nel periodo emergenziale di quanto maturato nell’annualità pregressa, e contestualmente garantire la normale funzionalità del servizio, ancorché ridotto per la sospensione processuale dei termini processuali, ricorrendo a forme inedite ed inesplorate della prestazione lavorativa.
Necessario è stato l’uso di piattaforme come cloud computing, teams e one drive, possibilità che però ha dovuto fare i conti con alcuni limiti di politica giudiziaria, rappresentati dal divieto di un uso generalizzato della sottoscrizione digitale di atti, con valenza processuale penale, e dall’impossibilità di utilizzare in remoto gran parte degli applicativi ministeriali. Tali mancanze impediscono sia la dematerializzazione del procedimento, sia la possibilità del deposito telematico dell’atto in remoto.
Per quanto riguarda l’attività giudiziaria, basilare è stata l’introduzione dei processi penali telematici e dei processi civili telematici.
L’Amministrazione Penitenziaria ha cercato di affrontare anche il tema della riduzione della popolazione carceraria, alla luce del semplificato regime della detenzione domiciliare, con particolare riferimento a quei soggetti che, pur in presenza di presupposti, non avessero un domicilio “certo” per fruire del beneficio. Invece, quindi, di ulteriormente onerare gli uffici requirenti di un’atipica “istanza” officiosa per il conseguimento del beneficio in esame, si è preferito monitorare settimanalmente il numero di istanze private e, contestualmente, proseguire nell’attività di progressivo reinserimento sociale dei soggetti reclusi, privi di dimora.
Le Marche sono una regione che pian piano sta mettendosi sempre di più sotto i riflettori per la sua continua crescita e il suo continuo miglioramento. I passi da fare sono ancora tantissimi, ma è allo stesso tempo ovvio che abbiamo la piena consapevolezza che dalla crisi non si può uscire con gli strumenti organizzativi a cui ci si era abituati in precedenza. Per questo ci serve la mobilitazione comune dei magistrati, con il fattivo coinvolgimento della dirigenza amministrativa e del personale, oltre che il dialogo con gli avvocati e l’indispensabile ascolto delle istituzioni sanitarie.