IL BENESSERE DEI CITTADINI NON SIA UNA ‘SCOMMESSA’

IL BENESSERE DEI CITTADINI NON SIA UNA ‘SCOMMESSA’

Prospettive di crescita

Il sistema economico è da tempo legato a doppio filo al meccanismo del c.d. rating, parametro fondamentale ai fini della valutazione del merito creditizio (e non solo), e che esprime il grado di affidabilità e solidità finanziaria di una società o di uno Stato.

In epoca pre-pandemica, le agenzie di rating lanciavano allarmi sulle possibilità reali di ripresa del Paese e sul peso del debito sui conti.
Recentemente, invece, la Standard&Poor’s, contrassegnando un upgrading (da BBB- a BBB), ha di fatto cambiato valutazione nei confronti dell’Italia, riferendo di un’adeguata capacità di rimborso. Probabilmente il merito va all’impegno del Governo nel perseguimento degli obiettivi di crescita, secondo il piano concordato con l’Europa.

Il dato conforta ma non concede definitivo sollievo.

I fondi del Next Generation, il varo di politiche espansive che hanno mitigato gli effetti della pandemia e gli investimenti a favore delle imprese, anche se tempestivi e consistenti, non sono sufficienti a colmare il divario ancora esistente rispetto ad altri Paesi europei. Si soffre sia per gli effetti dell’inflazione, sia per i vertiginosi rincari delle bollette, che procurano forte affanno a famiglie e imprese.

Inoltre, nel decreto Fisco dello scorso 30 dicembre («Direttive per l’attuazione delle operazioni finanziarie»), all’art. 3, per la prima volta nella storia, viene ammessa la possibilità di pareggiare i conti dello Stato con i derivati.
Significa, a voler banalizzare, poter pareggiare i conti pubblici grazie a vere e proprie scommesse; nel caso di perdita, stimata sempre al 50%, il costo verrebbe spalmato su tutti i cittadini, secondo varie declinazioni.

I derivati, utilizzati anche nella gestione della finanza statale per mitigare rischi di cambio e di tasso di interesse del mercato, si sono sempre rivelati estremamente pericolosi.
È ancora fresco il ricordo della crisi procurata dal fallimento della banca d’affari Lehman Brothers o, senza andare troppo distante, del caso Monte dei Paschi di Siena.
Tale meccanismo di protezione ha una sua logica in fasi in cui i tassi di interesse sono a livelli molto bassi e si ipotizza il rischio di un loro rialzo improvviso, come avvenuto tra il 1997 e il 2005, quando l’utilizzo dei derivati ha diminuito il deficit per un totale di 11,6 miliardi.
Tuttavia, le caratteristiche della crisi del 2007, contraddistinta da un andamento dei tassi di mercato di segno opposto a quello previsto (scommesso), hanno fatto emergere la portata degli effetti collaterali. Con la crisi, si è creato un meccanismo perverso che ha provocato un aumento esponenziale del costo sostenuto dallo Stato per tutelarsi dai rischi di mercato (soltanto nel 2013 la spesa per interessi collegata ai derivati è stata di circa 3 miliardi di euro e dal 2006 al 2016 è aumentata di quasi 24 miliardi).

È comprensibile, quindi, che correlare un dato effettivo, il debito, a un evento incerto, l’andamento di mercato, scommettendo circa il suo trend, potrebbe avere effetti ancor più devastanti in un’epoca come quella attuale di diffusa fragilità.

A questo quadro, si aggiunge ciò che fa parte delle stringenti condizionalità richieste dalla Commissione Europea per accedere ai fondi del Next Generation Eu, ovvero il disegno di legge sulla concorrenza e il mercato.
All’art. 6 di tale disegno si stabilisce la privatizzazione dei servizi pubblici locali e la definitiva mutazione del ruolo dei Comuni. L’obiettivo dichiarato è «[…] promuovere lo sviluppo della concorrenza e […] rimuovere gli ostacoli all’apertura dei mercati (…) per rafforzare la giustizia sociale, la qualità e l’efficienza dei servizi pubblici, la tutela dell’ambiente e il diritto alla salute dei cittadini».
La funzione dei Comuni e il ruolo di garanzia dei diritti svolto storicamente dai servizi pubblici locali vengono completamente rivisti, ponendo la gestione dei servizi pubblici locali come competenza esclusiva dello Stato da esercitare nel rispetto della tutela della concorrenza e separando le funzioni di gestione da quelle di controllo.
Se, ad esempio, un Comune, andando contro i desiderata del disegno di legge, scegliesse di gestire in proprio un servizio pubblico locale, si troverebbe un carico di incombenze pesantissime (i.e., produrre «una motivazione anticipata e qualificata che dia conto delle ragioni che giustificano il mancato ricorso al mercato»; tempestivamente trasmetterla all’Autorità garante della concorrenza e del mercato; prevedere sistemi di monitoraggio dei costi; procedere alla revisione periodica delle ragioni per le quali ha scelto l’autoproduzione; etc.), con una serie di oneri che scoraggiano la scelta sin dal principio.
Un cambio di prospettiva molto forte sui diritti delle persone, sui beni comuni e sulle comunità locali, quello di mettere tutto sul mercato.

La situazione è critica.
Ogni errore di strategia potrebbe procurare conseguenze devastanti, fino al collasso del sistema.



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