IL BUON GOVERNO: GESTIONE E UMANITÀ – 30 GENNAIO 2022
La scelta del nuovo Presidente della Repubblica ha monopolizzato il dibattito per giorni. E ancora oggi la discussione risente delle pieghe di un’epoca che potremmo definire post democratica.
Nel dichiarato, l’obiettivo è sempre stato la stabilità, ma fin da subito tante tra le proposte avanzate postulavano il desiderio di rimescolare le carte di un Governo già fortemente eterogeneo, composto da sensibilità molto differenti, e la possibilità di tornare al voto in una fase delicata e peculiare.
La verità è che, nel nuovo regime segretamente oligarchico, i leader hanno perso la propria funzione di essere punti di riferimento e la dovuta propensione a puntare alla concretezza per la soluzione dei problemi comuni. Favorendo le individualità, hanno finito per allontanarsi dai cittadini, che si sentono abbandonati, relegati nell’ombra dell’indifferenza, e diventano passivi fruitori di una politica orientata alla soddisfazione di interessi diversi da quelli del Popolo.
Ogni cambiamento è vissuto senza trasporto emotivo.
Eppure l’elezione del Capo dello Stato, come ogni altra determinazione politica, è destinata ad avere una incidenza diretta sulla gestione economica e sociale, e dunque, in ultima istanza, sul quotidiano dei singoli. Del resto, la politica, fatta bene, deve poter trovare riflesso nella crescita del Paese, in ogni ambito della realtà.
Il leader dovrebbe essere capace di intercettare i bisogni. È nella sua missione. Ma riesce a svolgere il compito soltanto se conserva il contatto con il Popolo, dal quale proviene, se la posizione ricoperta è il risultato di un periodo di studio ed esercizio e se conserva capacità di impegno e sacrificio.
Un tempo il leader era definito ‘il migliore tra la massa’, individuato per i risultati raggiunti nella competizione, dopo un percorso di formazione. Un Governo puramente tecnocratico rischia, invece, di non essere sufficientemente in grado di essere vicino al problema.
Capita spesso che la cronaca si macchi di fatti di violenza perpetrata, ad esempio, da extracomunitari già pregiudicati. Infastidisce e spaventa. Crea divisioni e accresce l’odio. Ma sfugge che la responsabilità è prima di tutto di uno Stato che resta sordo alla sofferenza del Popolo, ignora le fragilità, agevola le ghettizzazioni, non crea Cultura, e non coltiva le sensibilità. L’isolamento genera disagio, e il disagio stimola reazioni incompatibili con il vivere sociale. Al contrario, integrazione e coesione sono alla base della cultura del rispetto e della legalità.
Per governare, non occorre solo abilità di gestione. Occorre soprattutto umanità.
Occorre saper dare valore alla Comunità come gruppo che deve crescere insieme.
Occorrono visione, per comprendere dov’è il vulnus, e capacità di predizione di quello che accadrà nel futuro prossimo. Per costruire il pensiero anticipando gli eventi deleteri.
Occorre passione. Occorre il coraggio di dare espressione a chi ha diritto di vera rappresentanza.
Per essere davvero utile, ogni Movimento culturale deve lavorare sulla crescita culturale.
Gli ultimi anni hanno generato una frattura difficilmente sanabile. L’impegno ora deve essere tutto profuso nella ricomposizione di un tessuto sociale ed economico lacerato.