IL CAMBIO DI ROTTA E’ NELLA PROGETTUALITA’ – 20 SETTEMBRE 2020
Il Paese vive una costante situazione emergenziale, di tipo sociale ed economico. Un’emergenza strutturale.
‘Debito pubblico’, ‘freno al progresso economico’, ‘prodotto interno lordo’ sono alcune delle espressioni più ricorrenti nel dibattito degli ultimi anni. E la risposta offerta al problema del crescente disagio economico è sempre il ‘contenimento della spesa pubblica’. Non importa quale sia il progetto politico del momento, la soluzione non sembra poter risiedere altrove.
Alcuni settori accusano il colpo più di altri.
La Sanità, tra tutti.
Garantire apertura al sistema sanitario nazionale e rendere effettivo il diritto alla salute e alle cure mediche, senza discriminazioni, è principio di civiltà, ma costa. E i grossi investimenti, comportando significativi spostamenti patrimoniali, finiscono spesso per dirottare l’attenzione dai bisogni dei cittadini alle opportunità di guadagno personale. Sprechi e clientelismo, mali non ancora debellati, hanno reso indispensabile un ripensamento del settore sanitario. Le speranze riposte nella riforma del Titolo V della Costituzione sono andate disperse. Neppure il modello di federalismo fiscale del 2009 ha aiutato a traguardare il risultato di una maggiore efficienza dei servizi.
Allargando la prospettiva, non sfugge che all’aumento progressivo e costante del livello di tassazione (non equiparabile a quello di alcun altro Stato membro dell’Unione europea) e alle particolari scelte allocative delle risorse pubbliche non sia corrisposta una crescita reale del Paese in termini di benessere individuale e collettivo.
Vale ricercare l’origine del problema, per ricomporre la soluzione.
È evidente che ogni azione politica finora condotta è stata mirata all’obiettivo di portare visibilità e consenso al partito o al gruppo di riferimento. Finora, è sempre stato il desiderio di autoaffermazione a pilotare le scelte di riforma, grazie all’aiuto di sondaggi idonei a individuare i temi a maggiore sensibilità. Si punta alla pancia dei cittadini e se ne strumentalizza il disagio. La capacità di leadership diviene un valore in sé e smette di avere funzione servente alla governabilità.
È vero che, quando si assumono decisioni realmente dirette a soddisfare l’interesse comune, è possibile che queste risultino impopolari e non siano apprezzate nell’immediato. Diversamente, è facile trovare supporto quando l’opzione proposta è presentata come quella da subito più comoda. Bonus vacanze, reddito di cittadinanza, cassa integrazione permanente ne danno chiara evidenza. Le misure assistenzialiste fanno mostra di generosità e altruismo, riscuotono consenso, ma, a conti fatti, si rivelano inutili alla costruzione di un vero Stato di diritto e controproducenti rispetto all’obiettivo di equità sociale.
Il cambio di rotta è nella progettualità.
Occorrerebbe, ad esempio, una mappatura delle potenzialità occupazionali per territorio e delle competenze necessarie, anche per garantire linee di indirizzo nelle scelte di formazione.
Messo in disparte il favore per misure d’assistenza, che intorpidiscono gli animi e inibiscono la capacità di reazione, è necessario puntare su piani di adeguamento formativo, che abbiano conto anche dell’incidenza dell’evoluzione tecnologica nell’organizzazione delle attività lavorative e delle emergenti esigenze di sostenibilità. I progressi della robotica e dell’elettronica spaventano, perché sembrano poter marginalizzare il contributo dell’uomo, specie nei processi produttivi. Il pericolo non esiste se si lavora per conservare gli equilibri di impegno.
È allora fondamentale consentire lo sviluppo di competenze nuove e redistribuire le energie in base alle esigenze del Paese, ineluttabilmente destinate a cambiare nel tempo. Ma, a monte, serve comprendere quale il piano dei bisogni e quale la distribuzione sul territorio nazionale.
Il principio fondamentale di solidarietà non può essere immiserito ad attività di assistenza. E l’equità sociale, che alla solidarietà è ispirata, non può che consistere nell’opportunità, concessa a tutti, di svolgere l’attività lavorativa che meglio realizza le inclinazioni individuali, meglio risponde alle competenze dai singoli acquisite e meglio consente di dare un contributo al miglioramento del settore. A beneficio dei singoli e della collettività.
Meritocrazia Italia propone un modo di costruzione dei progetti politici basato sullo studio e sull’analisi del dato reale. Un approccio che impone costanza e dedizione, ma anche lungimiranza e capacità di previsione. Non si può restar ciechi agli ineluttabili cambiamenti (anche) del settore lavorativo, e non immaginare che vi sono comparti destinati a esaurire la propria funzione nel giro di pochi anni.
Non ci si può far trovare disarmati in un’epoca di forte vulnerabilità. È fondamentale imparare a valorizzare le risorse che emergono in tempo di crisi e resistere al nichilismo e alla disillusione che la debolezza inevitabilmente porta con sé.
In una società che abbandona il più fragile, che vinca la forza. Non quella fatta di sopraffazione, ma quella data dalla capacità di reazione, dal coraggio del sacrificio e dalla voglia di dignità.