IL CONFRONTO DELLE IDENTITA’

IL CONFRONTO DELLE IDENTITA’

È soltanto dagli anni ’90 che l’Europa sembra essere uscita dal torpore, per dare forma al desiderio di essere parte di un ordine mondiale, politicamente plurilaterale ed economicamente omogeneo.
Nei fatti, però, l’uniformità monetaria non si è accompagnata all’auspicata stabilità economica.
Da ultimo, l’Unione europea, che assume struttura integovernativa, sceglie di affidare le decisioni strategiche al confronto tra capi di Stato in posizione di forza diversificata. L’evidente squilibrio rende la struttura precaria ed è ragione di fratture. La Brexit ne è segno tangibile.
È indubbio che sia la Germania a rivestire la posizione di maggior potere. Un Paese non privo di contraddizioni, dotato di risorse tali da assicurare autosufficienza. La collocazione topografica, al centro dell’Europa, e la densità demografica consentono alla Germania di imporre il proprio rigore in ogni occasione d’azione politica.
È fatto che il valore della moneta unica finisce per essere immune alle scelte di governo e i singoli Paesi membri possono al più limitarsi a regolare il vivere sociale e impartire indicazioni organizzative. Senza potere d’incidenza sulla politica monetaria.
La Germania è stata in grado di gestire questo stato di cose con più facilità rispetto ad altri Paesi. E l’impressione è che l’unità d’Europa sia suo ostaggio e che i trattati si siano fatti arma d’imposizione di modelli di gestione economica tipicamente tedeschi, ai quali gli altri Membri sono chiamati ad adeguarsi, facendo fronte al contempo alla spending review.
L’idea imposta è che l’economia debba essere trainata dall’esportazione, più che dalla domanda interna. Da qui il rigore nell’applicazione delle regole finanziarie. Dal rispetto di deficit di bilancio e indice di spesa dipende la stabilità di un Paese.
Questo disvalore è ormai cristallizzato e ha favorito la divisione dell’Europea nelle due fazioni, degli Stati debitori e degli Stati creditori.
L’Italia è componente eletta del primo gruppo, nonostante compaia nel G7, tra gli Stati maggiormente industrializzati.
Il paradosso non può sfuggire.
Nonostante le pressanti restrizioni politiche e finanziarie, il debito pubblico del Paese non si riduce.
Vale lo stesso per la Francia.
Sarebbe stata necessaria una politica internazionale differente da quella praticata finora. Per recuperare la sua originaria funzione, l’Europa dovrebbe essere costruita su alleanze e cooperazione. In questa direzione si dovrebbe militare.
Eppure il processo sembra irreversibile.
E una riflessione sull’utilità della scelta della Gran Bretagna va fatta.
Vale interrogarsi sull’opportunità di continuare ad aderire a un sistema non più condivisibile nello spirito e nell’azione. Vale esplorare la possibilità che l’autonomia consenta di valorizzare meglio le risorse a disposizione.
L’Italia vive un profondo conflitto interiore e si piega al potere di un’Europa che contesta. Ne è causa la debolezza pure emersa nei giorni scorsi. Nel momento di maggiore difficoltà, l’Europa si è mostrata sorda a ogni richiesta d’aiuto.
È il momento di comprendere se l’organizzazione europea sia ancora in grado di tener fede ai propositi che le hanno dato origine e sia disposta a praticare politiche di sostegno a favore dei Paesi che sono gravati da un più significativo deficit di bilancio.
È il momento di verificare se sia ancora possibile costruire sul confronto delle identità.



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