IL DIVARIO DIGITALE, TRA ZAVORRA E PROCESSO EDUCATIVO
I rischi di un Paese sganciato dalla realtà
Quel che farà la differenza in termini di sviluppo sostenibile sarà, certamente, il modo in cui si concretizzerà il passaggio al total digital.
Velocità, ambiente, trasparenza. Queste le principali direttrici sulle quali si gioca la competitività del Paese su scala internazionale.
Il punto, però, è quanto i singoli siano già pronti alla gestione totale dei processi informatico-telematici. Si è avuto un saggio delle difficoltà con la pec, poi con la fatturazione elettronica, poi con spid, cashback, ecc.
Occorre distinguere tra ‘automatismo necessario’ in determinati ambiti della vita sociale e ‘velocità informatico-telematica’, non sempre corrispondente all’umana comprensione e sostenibilità.
Si pensi al sistema di notificazione tramite pec.
L’utilità sistemica in ordine alla certezza della notifica non postula che il destinatario abbia, anzitutto, assimilato tutti i saperi di gestione, di lettura, di conservazione, ecc. Quante Partite iva, il più medio-piccole, si sono travate a barcamenarsi nell’era delle pec (ancora oggi tantissime in verità) senza che venissero preventivamente promosse campagne educative d’avvicinamento allo strumento?
La giustizia tributaria è affaticata anche dal carico dei contenziosi legati a questo gap. Che la pec sia uno strumento innovativo, futuristico (ormai di vita presente), semplice e immediato è certo, ma di fronte alle difficoltà, a essere avvertito non è l’utilità del nuovo strumento ma il timore del nuovo e il disagio per la propria inadeguatezza, creduta o reale.
L’introduzione di modelli tecnologici che faticano ad attecchire si traduce in gravi perdite di tempo e di chance.
Se c’è una sfida che l’Italia deve cogliere è proprio nella prossimità educativo-tecnologica, non solo in ambito scolastico, ma anche per le attività legate all’iniziativa economica.
Non solo.
Tale approccio di prossimità andrebbe rivolto anche alle pubbliche amministrazioni. Stando alla relazione introduttiva al PNRR, il 98,8 % dei dipendenti del comparto non privato mai aveva utilizzato il c.d. ‘lavoro agile’ prima dell’evento pandemico. Ciò la dice lunga sull’approccio informatico manageriale degli Enti pubblici italiani, laddove l’indice di efficienza in tale chiave di lettura è tra i più bassi dei c.dd. Paesi avanzati.
Dunque, il digital divide (il divario digitale) del quale tanto si discute da anni, per quanto necessariamente da assottigliare il più possibile, deve fare i conti almeno con delle variabili generazionalmente e socialmente costanti:
– il regionalismo competitivo di fatto (effetto del federalismo cooperativo della riforma costituzionale del Titolo V), alimentato dall’arretratezza sistemica del mezzogiorno rispetto alle regioni nordiche;
– la polarizzazione sfrenata a cui portano i lavori di alta competenza frutto, appunto, degli effetti dell’‘iper-tecnologismo’;
– l’assenza di politiche di recupero di coloro che, nel mondo privato, non hanno i mezzi, gli strumenti e le risorse necessarie per fronteggiare da soli il gap di conoscenza utile a rimanere competitivi ed efficienti;
– la difficoltà nell’uniformare i livelli educativo-tecnologici rispetto all’avanzamento e al progresso inarrestabile, con un effetto domino di duplice matrice (la rinuncia ai profitti della competizione in favore della sopravvivenza per buona fetta delle Partite iva, da una parte, e la fuga di molte persone verso l’estero dopo le scuole, l’università o dopo una breve parentesi imprenditoriale o d’impiego lavorativo).
Combattere il divario digitale senza legare il fine all’innalzamento dei livelli di processo educativo-sociale significa perdere in partenza le chance del cambiamento radicale.
In conclusione, quel che sembra doveroso affermare è che il termine ‘zavorra’, di solito utilizzato per descrivere l’arretratezza del Paese apre a una riflessione sulla diversa utilità che si trae dall’etimologia stessa della parola.
La zavorra identifica, nel mondo marittimo, quel particolare insieme di pesi mobili (solidi o liquidi) che si imbarcano, stabilmente o temporaneamente, sulle navi per assicurarne o migliorarne, in determinate circostanze, la stabilità e l’assetto. Il termine non ha, dunque, solo un’accezione negativa.
Illudersi di eliminare le zavorre solo con la creazione di una nave migliore, frutto di sacrifici di scienza, è ingenuo, perché è l’equipaggio che contribuisce alle sorti d’efficienza nella navigazione.
Combattere il divario digitale, allora, deve poter significare mettere la persona umana al centro di un progetto di consapevolezza ed educazione al nuovo.
Diversamente, si rischia, come al solito, di lasciare indietro i più deboli.
Dall’essere zavorra all’ammutinamento è questione di equilibri: si immagini il comandante di vascello che nell’impartire rotte e ordini non riesca a farsi comprendere dal proprio equipaggio poiché la marina di appartenenza ha scelto di insegnare linguaggio e gli strumenti avanzati utilizzati per navigare soltanto a uno.
Di ANGELO LUCARELLA