Il dono dell’imperfezione
Era il 1970 quando, in Gran Bretagna, i conservatori tornarono al Governo con Edward Heath. Si apriva una nuova fase per il Paese. In quell’anno la Francia ritirò il veto al suo ingresso in Europa. La Gran Bretagna era sempre stata gelosa della sua autonomia, fino all’inversione di rotta portata dalla politica del laburista Harold Wilson, nel 1966. Alla fine, comunque, nel 1973, entrò in Europa, in un momento non facile, in piena crisi economia, in tempo di ridotta produttività, emergenza energetica e generale insoddisfazione, nel mezzo di continue proteste sindacali e manifestazioni di dissenso. Cercò in questo modo di recuperare, anche per risollevare l’opinione pubblica e per dare ai cittadini nuove prospettive.
Corsi e ricorsi storici.
Si alternano sempre fasi di apparente tranquillità a periodi di fibrillazione e crisi, economiche e sociali.
Ciò che più destabilizza oggi, però, è la corsa irrefrenabile alla perfezione. Inseguiamo un modello impeccabile, per essere più vicini allo standard socialmente accettato in ogni ambito. Come genitori, come lavoratori.
Perdiamo di vista l’importanza dell’imperfezione. La bellezza che si può nascondere nelle stradine laterali.
A rendere tutto davvero perfetto, però, non è l’aderenza a prototipi imposti, ma il sentimento che si mette nell’arte, nelle relazioni con gli altri, nel proprio lavoro. A rendere tutto davvero perfetto è l’originalità.
Nel mondo della progressiva omologazione, invece, si perde il senso di tutto.
Sbagliare, commettere errori, è fondamentale per trovare la via giusta, che è diversa per ciascuno di noi.
Da Presidente, dall’inizio del progetto, ho avuto modo di conoscere tante persone. In moltissimi hanno mostrato apprezzamento per l’iniziativa, per poi declinare l’invito a salire a bordo, a partecipare attivamente. Sempre per mancanza di tempo. Quello stesso tempo che trascorre allo stesso modo, inesorabile, per tutti.
Se Edward Heat non avesse insistito per un cambio di traiettoria e non avesse cercato supporto nell’unione con altri Paesi, l’instabilità si sarebbe tradotta in una lacerazione insanabile del tessuto sociale. La stessa visione delle cose portò alla fine di regimi autoritari come quello greco, portoghese e spagnolo.
Nella coesione chi è in difficoltà può trovare sostegno.
Questa è la base sulla quale si regge il progetto di Meritocrazia Italia, che riesce solo se a unire le forze sono in tanti, con visione comune e grande costanza. Soltanto insieme sarà possibile costruire un Paese nuovo, artigianalmente e commettendo errori, nell’imperfezione di chi vuole essere differente. Con pazienza ricordando che sbagliare è un modo per imparare.
A commettere errori è sempre chi fa, chi ha il coraggio delle decisioni, chi sceglie di non conformarsi, chi insegue sogni nuovi, a volte non compresi e sottovalutati.
L’importante è non perdere di vista l’obiettivo e mantenersi fedeli al piano di valori che si è scelto di condividere.
L’Uomo non è, e non sarà mai, una macchina, perché ha il dono dei sentimenti. E delle fragilità.