Il Piano Energetico Nazionale di Meritocrazia Italia
Obiettivo primario di un piano energetico nazionale è quello di favorire e promuovere la produzione dell’energia elettrica o termica necessaria al benessere e allo sviluppo di un Paese mediante impianti economici, domestici, a basso consumo di suolo, armonicamente inseriti nel contesto storico-paesaggistico ed alimentati da fonti di energia pulite, non climalteranti, diversificate e certe. Nell’attuazione dello stesso piano, inoltre, si dovrà poter tenere conto di ogni eventuale ed utile sviluppo tecnologico futuro e finanziare, costantemente e convintamente, studi e ricerche riguardanti tutti gli aspetti relativi alla produzione, alla trasmissione ed all’utilizzo dell’energia.
La previsione della quantità di energia elettrica necessaria all’Italia al 2050 per raggiungere gli obiettivi europei per il contenimento del riscaldamento globale, contenuta nel PNIEC (Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima – Giugno 2024), inviato il 3 luglio 2024 alla Commissione europea da parte del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, è sostanzialmente condivisa da Meritocrazia Italia, come pure lo è la sostenuta necessità espressa in esso di accompagnare alle fonti rinnovabili classiche (idroelettrico, geotermia, biomasse, solare ed eolico) centrali elettronucleari aventi una potenza complessiva compresa tra gli 8 ed i 16 GW, per gestire la richiesta di “base load” (potenza minima erogata) della rete elettrica nazionale.
Il piano ministeriale, basato su un pregevole e ponderoso lavoro di raccolta e analisi di tutti gli elementi indispensabili per formularlo, condotto da numerosi esperti dei vari settori interessati, ha un costo stimabile prossimo ai 400-500 miliardi di euro ed è destinato a produrre i suoi effetti per decenni (anche oltre i 50 anni). Proprio per questo Meritocrazia ritiene che un piano energetico come quello delineato dal Ministero non possa essere varato senza essere stato ampiamente condiviso anche dall’opposizione attuale. In caso contrario, infatti, si correrebbe il forte rischio che tutto si blocchi al primo cambio di governo (come è accaduto all’impianto nucleare austriaco pronto per essere collegato in rete ma bloccato da un referendum alla fine degli anni ‘70). A tale proposito, non è sicuramente sfuggita ad osservatori attenti l’immediata emissione da parte di AVS, avvenuta in coincidenza con l’invio alla C.E. del PNIEC 2024, di un comunicato con il quale Alleanza Verdi e Sinistra ha prontamente espresso la sua contrarietà all’ipotesi del MASE di tornare al nucleare con piccoli reattori modulari (SMR) da 200-300 MW ciascuno.
Meritocrazia Italia reputa che la sola possibilità esistente per un ritorno all’energia nucleare per usi civili nel Paese non è quella di proporre, come fatto nel piano ministeriale in questione, un numero elevato di questi piccoli reattori (ancora tutti da sviluppare per renderli di IV Generazione con sistema di raffreddamento a Sodio o Piombo) in quanto richiederebbero, tra l’altro, il reperimento di 40-80 siti, ma sia quella di adottare impianti nucleari super sicuri, di dimensioni adeguate alle richieste locali/regionali, basati su tecnologie già esistenti e collaudate (nucleare di III Generazione Plus e moderne tecnologie minerarie), in grado di non emettere nell’ambiente esterno alcuna radiazione pericolosa per i cittadini e ciò anche nel caso di eventi estremi, siano essi un forte terremoto, oppure il più gravoso degli incidenti interni possibili (il core melting) o, addirittura, un eventuale attacco missilistico, come si teme possa avvenire in Ucraina per la centrale nucleare più grande d’Europa, quella di Zaporizhzhia.
Inoltre, il ritorno dell’Italia al nucleare resterebbe comunque improponibile fintanto che non verrà risolto il problema annoso dello smaltimento delle scorie radioattive pregresse e di quelle future: cioè la mancata disponibilità di un deposito nazionale per rifiuti radioattivi che la Sogin sta cercando di realizzare fin dal 2003 (con il sito per un deposito a 900 m di profondità di Scanzano Jonico) fino all’attuale proposta di un deposito superficiale, e per tale motivo poco condivisibile, inserito in un apposito Parco Tecnologico che nessun comune si è dichiarato, ad oggi, disposto ad accettare.
Ne deriva che, in attesa degli agognati reattori a fusione, la cui disponibilità è per il momento altamente incerta, Meritocrazia ritiene che andrebbe attentamente considerata, mediante un semplice studio preliminare di fattibilità tecnico-economica, la possibilità di realizzare impianti nucleari in sotterraneo (o all’interno di rilievi collinari/montuosi) di III Gen Plus, resi auto-decommissionabili con la collocazione in caverna dei loro reattori ed ai quali affiancare depositi definitivi per rifiuti radioattivi, posti anch’essi sotto due-trecento metri ed oltre di rocce idonee, in quanto sono al momento gli unici disponibili da subito ed in grado di offrire una sicurezza assoluta per maestranze e cittadini.
Come visto, infatti, nel caso del grave incidente occorso nel 1977 alla centrale nucleare svizzera in caverna di Lucens, i gas radioattivi emessi dalla fusione del reattore sono rimasti totalmente confinati in profondità, senza alcuna emissione di elementi radioattivi in superficie e senza alcun danno ai lavoratori, grazie alla protezione totale offerta delle rocce nelle quali era stata scavata.
Analogamente, nel deposito per rifiuti radioattivi sotterraneo di Forsmark in Svezia, quasi 40 anni di misurazioni permettono di affermare con assoluta sicurezza che il confinamento sotterraneo della radioattività può essere totale.
Merita considerare che il nostro pianeta è un’enorme sfera di calore, alimentato dal decadimento di immense quantità di materiali radioattivi presenti al suo interno dai quali siamo efficacemente protetti dal guscio roccioso che l’avvolge (la litosfera).
Va osservato, a tale proposito, che una centrale con il reattore nucleare posto in sotterraneo non ha bisogno né dei costosi scudi di protezione e contenimento dello stesso reattore, né dei ridondanti sistemi di comando e sicurezza multipli richiesti alle centrali nucleari convenzionali di superficie (l’EPR francese ne ha ben quattro) per soddisfare le attuali normative (in particolare dopo l’attentato alle Torri Gemelle di New York). Pertanto, oltre ad offrire una sicurezza irraggiungibile da dette centrali di superficie, un analogo impianto sotterraneo risulterebbe più semplice e quindi più veloce da costruire e meno soggetto ad eventuali guasti; inoltre, unitamente al fatto che non richiederebbe il decommissioning finale del reattore, risulterebbe incredibilmente anche di gran lunga molto meno costoso (del 30-50%); soluzione, questa, che potrebbe richiedere l’individuazione in Italia di un numero di siti molto limitato (da un minimo di due ad un massimo di quattro-cinque) per realizzare gli 8 oppure 16 GW indicati nel PNIEC.
Si noti che la Corte dei Conti francese, ha recentemente emesso un importante “Rapport public thématique de la filière EPR (Avertissment Janvier 2025)” nel quale si ha sollecitato l’EDF (Électricité de France) affinché riveda al più presto tempi e costi di costruzione proprio dei loro EPR al fine da renderli più sostenibili.
Se si aggiunge che, accanto al reattore della centrale nucleare, sempre in sotterraneo, possono essere realizzati, a costi marginali, anche i depositi per le scorie radioattive, con la soluzione in sotterraneo si disporrebbe di una proposta in grado di risolvere finalmente tutti i problemi economici e di sicurezza (compreso quello di reperire un sito per il già detto Deposito Nazionale Sogin) che hanno ostacolato il ritorno al nucleare per usi civili in Italia e, come tale, utile e credibile per aprire un tavolo di confronto con gli oppositori e potenzialmente accettabile anche da questi. Un progetto innovativo che, comunque, potrebbe trovare successo all’estero ed aprire interessanti prospettive (essendo coperto da brevetto italiano) nell’ambito del promettente business nel mondo degli impianti a zero emissione di CO2.
Meritocrazia ritiene inoltre che, adottando moderne tecniche di progettazione partecipativa, prevedenti il coinvolgimento della cittadinanza sin dalle fasi iniziali del progetto, sarà possibile mitigare eventuali conflitti e garantire un processo decisionale più inclusivo che, evitando decisioni calate dall’alto che possono dar luogo ad insanabili resistenze e diffidenze, favorirebbe l’accettazione dello stesso e permetterebbe di raggiungere i livelli di consenso che contraddistinguono Paesi con consolidata tradizione nel settore nucleare.
Per quanto riguarda il solare e l’eolico, trattati nello stesso PNIEC 2024, per raggiungere la capacità di produzione prevista per queste fonti al 2050 nel nostro Paese (345,8 TWh dal solare e 164,1 TWh dall’eolico) sarà necessario moltiplicare di circa 8 volte la potenza totale del fotovoltaico attuale e di oltre 4 volte quella dell’eolico. Meritocrazia Italia chiede, pertanto, che sia fatto ogni sforzo per contenere i consumi di suolo prezioso da occupare con i nuovi pannelli fotovoltaici e pale eoliche che potrebbero raggiungere estensioni dell’ordine di alcune migliaia di km2. In particolare, si chiede che, per l’implementazione di tali impianti, venga eseguita una accurata, trasparente e bilanciata analisi delle aree idonee necessarie e compatibili con l’ambiente, oltre che con le realtà economiche e sociali in esse esistenti e si promuova sempre più efficacemente l’utilizzo di tetti e superfici agricole di minor pregio e non utilizzate, mediante iter autorizzativi chiari e semplificati, trasparentemente definiti e costantemente aggiornati. È necessario che questi siano basati su regole comuni a livello nazionale calate poi secondo le esigenze regionali, rimanendo di semplice accesso ed interpretazione per gli investitori.
Va peraltro tenuto presente che solare ed eolico, che per loro natura sono fonti energetiche incostanti, necessitano del supporto di grandi sistemi di accumulo dell’energia da mettere in rete nei momenti di buio e di calma del vento. A tale scopo, si dovranno, per quanto possibile, preferire sistemi di accumulo che non diano luogo ad emissioni indesiderate nell’ambiente, quali ad esempio quelli a gravità (bacini idroelettrici) rispetto alle più inquinanti batterie che contengono elementi pericolosi e difficili da smaltire. Inoltre, poiché i pannelli fotovoltaici hanno una vita operativa inferiore ai 25-30 anni, dovranno anche essere considerati, già fin d’ora, adeguati impianti di smaltimento/recupero dei materiali che li compongono. In particolare, ciascun progetto per impianti fotovoltaici, soggetto ad autorizzazione per impatto ambientale, dovrà contenere un adeguato e credibile specifico piano di recupero e smaltimento dello stesso.
Molta attenzione dovrebbe essere posta anche ai progetti in corso per l’utilizzo dell’idrogeno, un gas altamente pericoloso che non è una fonte energetica, come molti sono stati erroneamente portati a credere, ma un vettore energetico. In particolare, vanno evitati investimenti per realizzare impianti fotovoltaici per poter produrre idrogeno verde in Paesi esteri ad alta insolazione (Nord Africa); infatti, il rischio connesso a tali investimenti, che potrebbero essere più utilmente fatti in Italia, sarebbe altissimo, vista la diffusa instabilità politica dei luoghi e le forti problematicità da superare che il trasporto dell’idrogeno nel nostro Paese comporterebbe.
Non ultimo, la grande assente nel PNIEC è la geotermia profonda, intendendo con ciò quella che potrebbe permetterci di accedere alla più grande fonte di energia rinnovabile del pianeta: la sconfinata quantità di calore racchiusa nelle rocce calde secche (HDR: hot dry rocks) crostali, che è già stata oggetto di promettenti sperimentazioni fra gli anni ’70 e ’90, condotte dal Los Alamos Laboratory a Fenton Hill (New Mexico), su fondi ricevuti dal DOE statunitense, e quella per lo sfruttamento di serbatoi freatomagmatici di grandi dimensioni (regionali) che si creano dall’incontro profondo tra falde acquifere e masse laviche. A questi due promettenti tipi di geotermia, che possono produrre sia elettricità che rifornire direttamente di acqua calda intere città e che rientrano in un settore dove l’Italia è stata prima nel mondo, andrebbero devolute risorse adeguate, da utilizzare inizialmente per redigere degli esaustivi studi preliminari di Fattibilità Tecnico Economica, sia per l’indispensabile diversificazione delle fonti di energia innanzi auspicata, sia in quanto, da un possibile successo, potrebbero anche scaturire opportunità economiche-lavorative oggi impensabili.
Ed ancora, in generale, dovrà essere sempre garantito un significativo sostegno alla ricerca tecnico-scientifica per lo studio e la sperimentazione di tecnologie di produzione energetica sempre più sicure, economiche e non impattanti, in particolare per quanto riguarda le emissioni di agenti climalteranti in atmosfera.
Maggior focus e concretezza dovranno esser posti anche nelle regolamentazioni a venire verso i) lo sviluppo ed l’adozione di sistemi CCS (Carbon Capture & Storage) per il sequestro della CO2, specie per i settori hard to abate, ii) l’implementazione di piani equilibrati di elettrificazione dei trasporti privati, iii) una sempre più estesa ed efficace interconnessione della nostra rete elettrica con quelle dei Paesi confinanti, e iv) il contenimento della dispersione per effetto joule nella dorsale ad alto voltaggio (da 220 kV e da 380 kV), tendenzialmente in aumento a causa della distanza tra le aree di produzione di energia elettrica da fonti come il solare ed eolico e le aree di consumo.
Ciò richiederà un profondo rinnovamento della rete elettrica, ormai obsoleta e dispersiva. Questo intervento già in esame da parte di Terna, è imposto sia dalla necessità di allacciare le nuove centrali previste dal PNIEC (che porteranno al raddoppio dell’energia elettrica da trasmettere/distribuire), sia dall’esigenza di integrare e sincronizzare efficacemente la corrente continua, prodotta da fonti intermittenti quali il solare e l’eolico, in una rete a corrente alternata pulsante a 50 Hz ed al contempo di favorire lo sviluppo di nuovi servizi energetici come ad esempio la ricarica dei veicoli elettrici o l’utilizzo delle loro batterie come supporto ai sistemi di immagazzinamento dell’energia o il self-consumption, senza essere da freno all’innovazione e alla competitività del sistema energetico nazionale.
La realizzazione di questo ambizioso progetto richiede ingenti investimenti in infrastrutture e tecnologie all’avanguardia. Fondamentale sarà l’adozione di un quadro normativo nazionale organico e coerente, libero da particolarismi regionali e capace di coinvolgere in modo integrato tutti gli attori del settore energetico: istituzioni, imprese, comunità energetiche e cittadini.
Il rinnovamento del sistema energetico nazionale rappresenta una sfida complessa ma imprescindibile per assicurare un futuro energetico sostenibile ed efficiente.
Gli investimenti in questo campo non solo genereranno benefici ambientali ed economici, ma rafforzeranno anche la competitività del Paese nello scenario internazionale.