IL PIEMONTE VERSO UNA NUOVA INCLUSIONE SOCIALE
Il Piemonte è sempre stato ed è un territorio di immigrazione.
La sua configurazione geo politica, prima con il marchesato monferrino per quasi 900 anni e poi con i Savoia, e il benessere che ne seguiva hanno sempre attratto popolazioni dai territori limitrofi. Con la rivoluzione industriale, sono arrivate ulteriori ondate immigratorie. Prima dalle campagne alle città, poi dal Sud Italia.
Tutto ciò ha prodotto diversi vantaggi, ma anche molti conflitti sociali per via della solita tipica diffidenza verso il nuovo e lo straniero. Ma dal disagio si è generata anche una tradizione di ricerca dell’inclusione e della coesione sociale.
Ha iniziato il mondo cattolico con i ‘preti da strada’ come Don Bosco; ha fatto seguito il mondo industriale, con i primi sindacati (Torino, ottobre del 1890) e il paternalismo aziendale, fino al concetto di azienda comunità sociale di Adriano Olivetti.
Oggi, con le nuove immigrazioni e le attuali discriminazioni, questa tradizione continua con figure come Don Ciotti e il suo Gruppo Abele e Libera, con Ernesto Olivero e il suo Serming-Arsenale della Pace.
Ma anche con politiche attive della Regione Piemonte, come l’ambizioso progetto WE.CA.RE., che dal 2016 propone una nuova visione di inclusione e coesione sociale, non più come relegata all’assistenza delle persone emarginate e in difficoltà, ma intesa come occasione di sviluppo territoriale.
La strategia WE.CA.RE., prima in Italia, coniuga misure diverse attraverso il Fondo Sociale Europeo e il Fondo Europeo di Sviluppo Regionale, per un investimento di risorse complessive pari a 20 milioni di euro (15 FSE e 5 FESR). Il percorso è costruito sull’obiettivo di innovare il modo di concepire e praticare le politiche sociali, per dare una risposta soddisfacente alla riduzione delle disuguaglianze sociali. Finanziando tutta una serie di progetti verso quattro diverse linee di indirizzo di politiche sociali integrate tra loro, si dimostra quanto sia importante attuare azioni più o meno eterogenee e connesse tra loro secondo processi di progettazione territoriale. L’esperienza ha evidenziato la necessità di saper attivare complesse negoziazioni tra i partner pubblici e tra questi ultimi e i soggetti del terzo settore. Un nodo problematico è il coinvolgimento e l’attivazione della società civile e delle associazioni di volontariato, spesso frammentate e deboli sul piano organizzativo. Molti enti gestori, inoltre, soprattutto quelli di dimensioni minori, hanno incontrato significative difficoltà sul piano amministrativo che ne hanno chiaramente rallentato il passo.
Nella consapevolezza che la coesione sociale è un obbiettivo difficile ma non impossibile da raggiungere, si ritiene auspicabile procedere in questi termini: prevedere una visione olistica con un insieme di azioni coordinate su più tematiche, adottare un cambio culturale e un’innovazione sociale e assegnare maggiore centralità alla persona, con sussidiarietà circolare. Ma tutto questo non può avvenire in breve tempo.
La sfida di WE.CA.RE., ad esempio, è quella di operare su un piano regionale di politiche integrate e coinvolgere tutti gli attori pubblici e privati, coniugare politiche sociali, politiche del lavoro e sviluppo economico, pensando alla coesione sociale come grande occasione di crescita, da realizzare attraverso la riduzione delle diseguaglianze tra i cittadini.
Si deve essere pronti a cogliere ogni opportunità di cambio culturale, che metta al centro il PIU – Prodotto Interno Umano – di tutte le proposte legislative regionali, delle progettualità territoriali e del loro monitoraggio, sposando i criteri di inclusione, in una forma di massima estensione.