IL RILANCIO PASSA ANCHE PER LE RETI DI IMPRESA
La recente crisi sanitaria ha acuito dei nodi che riguardano l’economia italiana già presenti da molto tempo mettendo in luce un sistema produttivo che sta mettendo in crisi il mondo del lavoro.
Una delle caratteristiche del nostro sistema imprenditoriale è il cosiddetto ‘nanismo’ delle imprese in quanto, ormai da decenni, oltre il 95% delle imprese italiane è costituito da aziende che hanno fino a 10 addetti. In questo quadro vanno collocate sia le piccole industrie, magari inserite in un contesto imprenditoriale più ampio, sia le micro e piccole imprese costituite da artigiani, da commercianti o da soggetti che operano nel campo dei servizi e che stanno risentendo maggiormente della crisi.
Analizzando le micro e piccole imprese, molte delle quali a conduzione familiare, si evidenzia la loro incapacità di capitalizzazione, la difficoltà ad innovarsi e a crescere in fatturato e utili proprio per l’impossibilità di uscire dalla condizione di nanismo imprenditoriale.
Questo quadro mette altresì in evidenza come in Italia ci siano poche imprese di dimensioni tali da poter competere con i mercati mondiali.
Esiste, invece, una cultura basata sulla creatività, sulla predisposizione a darsi da fare in proprio e a creare delle attività imprenditoriali anche in assenza di requisiti indispensabili quali il capitale stesso o un’adeguata struttura organizzativa. Se a questo aggiungiamo l’incapacità di innovarsi o di poter assumere personale qualificato si giunge alla conclusione che la piccola dimensione di un’impresa può rappresentare un limite difficile da superare poiché tali soggetti sono economicamente fragili e non hanno una previsione di crescita o di adattamento ai mutamenti del mercato che consenta loro una stabilità nel tempo.
Si è pensato in questi anni che il nanismo delle imprese dovesse essere superato a tutti i costi cozzando, però, con un’altra caratteristica dei tanti piccoli imprenditori ovvero, l’incapacità di fare rete, di mettersi assieme e di sviluppare progetti comuni.
Nel 2009, con il d.l. n. 5 del 2009, convertito in l. n. 33 del 2009 e modificato con l. n. 99 del 2009, fu introdotto il ‘contratto di rete di imprese‘, che alla base aveva l’idea di far sperimentare alle piccole e medie imprese l’idea di costituire dei network attorno a comuni iniziative.
Il modello del contratto nasceva estremamente semplificato proprio perché si poneva l’obiettivo di costruire una “rete” attorno alla necessità o alla progettualità che due o più soggetti mettevano in comune. Per esempio, le aziende potevano avere in comune l’esigenza di esportare e quindi si potevano condividere tutti i problemi legati alla logistica; oppure desideravano attuare una strategia di comunicazione comune. Oppure ancora intendevano sviluppare un nuovo prodotto o servizio da introdurre sul mercato.
Oggi, secondo gli ultimi dati del Registro delle imprese, sono oltre 6.000 i contratti di rete registrati e coinvolgono più di 36.000 imprese.
I soggetti che costituiscono la rete di imprese rimangono autonomi e l’attività comune non si confonde con quella della singola azienda anche dal punto di vista economico. Il rischio economico e finanziario è legato solo all’eventuale quota di partecipazione che ciascun soggetto versa all’interno della rete.
Solo nei periodi di imposta 2010, 2011 e 2012, per i componenti della rete vi era il vantaggio fiscale della sospensione d’imposta per utili accantonati a specifico fondo.
Infine, con riferimento dell’art. 1, comma 368, lett. b, c e d, l. 23 dicembre 2005, n. 266, le reti di imprese, dal punto di vista fiscale, amministrativo e finanziario venivano equiparate ai distretti.
Perché oggi il contratto di rete più essere uno strumento che le micro e piccole imprese dovrebbero prendere in considerazione?
Di seguito vengono elencati alcuni motivi:
– aumento del potere contrattuale;
– crescita delle dimensioni della propria organizzazione per poter affrontare meglio il mercato, anche estero;
– apertura a rapporti di collaborazione reciproca per la realizzazione di obiettivi strategici;
– possibilità del distacco dei dipendenti e della codatorialità;
– suddivisione dei costi di gestione che possono essere messi in comune;
– più facile accesso a finanziamenti e contributi grazie anche all’incremento del Rating d’Impresa.
Al riguardo, vengono descritti due esempi pratici nei quali il contratto di rete avrebbe un effetto positivo.
1. Esercizi di vicinato. Sono le attività commerciali che, più di altre, soffrono della concorrenza delle grosse organizzazioni commerciali che operano anche on-line. In rete si potrebbe condividere la promozione, la logistica o una piattaforma e-commerce, avere maggiore potere contrattuale con la pubblica amministrazione e gli istituti di credito, assumere o condividere personale che verrebbe retribuito, in quota, dalle singole imprese aderenti al network.
2. Attività di ristorazione. Per bar e ristoranti è sempre più necessario estendere l’attività con il servizio di consegna a domicilio o asporto. In rete, più soggetti di un medesimo territorio, potrebbero creare la propria app, la propria attività di promozione e reclutare personale che sarebbe ‘condiviso’ fra più soggetti.
Sono solo due esempi che presuppongono un cambio di mentalità da parte degli imprenditori e, soprattutto, la necessità di affidare ad un soggetto esterno, scelto in base alla fiducia, che possa gestire l’attività in nome e per contro della rete.
Molte reti non hanno funzionato perché la gestione era stata affidata agli stessi imprenditori chiamati a gestire anche la propria azienda e, tale errore, deve essere evitato. La rete, infatti, non deve essere intesa solo come ‘l’unione fa la forza‘ ma come un’opportunità per fare qualcosa che da soli non si potrebbe fare.
In questo senso, sarebbe opportuno che promuovere il finanziamento e l’estensione delle agevolazioni fiscali per i soggetti che decidono di costituire una rete, anche senza personalità giuridica ma dotata di un organo comune di gestione, e per le ‘reti’ che, all’interno del loro programma e della loro attività, favoriscono l’assunzione di personale anche mediante la codatorialità.
Le reti di imprese, anche senza personalità giuridica ma dotate di un organo comune di gestione, devono poter partecipare a tutti i bandi di gara per appalti pubblici, e accedere ai prestiti e ai finanziamenti anche a fondo perduto come ‘un soggetto unico’, a patto che il contributo richiesto venga impiegato per la realizzazione del programma di rete.
Le istituzioni pubbliche devono favorire a tutti i costi ogni processo di ‘solidarietà operativa‘ affinché il peso da sostenere in questo drammatico momento di crisi sociale ed economica non ricada sui più deboli.
Di GIUSEPPE FINOCCHIARO