Il tema della sanità nella regione Lazio
L’11 giugno 2019, la Fondazione GIMBE ha presentato presso la Sala Capitolare del Senato della Repubblica il 4° Rapporto sulla sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale (SSN), in cui il Presidente Nino Cartabellotta, ha esordito affermando che “negli ultimi dieci anni nessun Esecutivo ha mai avuto il coraggio di mettere la sanità pubblica al centro dell’agenda politica, ignorando che la perdita di un servizio sanitario pubblico, equo e universalistico, oltre a compromettere la salute delle persone e a ledere un diritto fondamentale tutelato dalla Costituzione, porterà ad un disastro sociale ed economico senza precedenti”.
Dal 2010 i Governi hanno ridotto la spesa sanitaria per fronteggiare le emergenze finanziarie facendo precipitare il finanziamento pubblico per la sanità ai livelli dei paesi dell’Europa orientale, considerando la sanità come un mero capitolo di spesa pubblica da saccheggiare e non una leva di sviluppo economico da sostenere, visto che assorbe solo il 6,6% del PIL e l’intera filiera della salute ne produce circa l’11%”.
Secondo le stime del Rapporto GIMBE per riallineare il SSN a standard degli altri paesi europei e offrire ai cittadini italiani un servizio sanitario di qualità, equo e universalistico sarà necessaria nel 2025 una spesa sanitaria di € 230 miliardi.
La Regione Lazio, purtroppo, è in linea con questa riduzione dei finanziamenti per la Sanità. Negli ultimi otto anni, infatti, molti ospedali hanno chiuso o sono stati ridimensionati. Secondo i dati del Ministero della Salute nel 2011 il Lazio aveva complessivamente 72 strutture di ricovero pubbliche, scese a 56 nel 2017, con un saldo negativo di 16 strutture. In particolare, nel 2011 il Lazio aveva 46 ospedali a gestione diretta, nel 2017 (ultimi dati disponibili) erano 33. A Roma il Forlanini, il Santa Maria della Pietà, il San Giacomo hanno chiuso; il San Filippo Neri, il Sant’Eugenio e il San Camillo sono stati ridimensionati. Emblematico il caso dell’ex Forlanini, il polo di eccellenza per la ricerca e la cura della tubercolosi, definitivamente chiuso nel 2015 e classificato con una delibera del 2016 come bene disponibile, in vendita, per 70 milioni di euro.
Poi anche a seguito delle proteste de cittadini il presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti è tornato sui suoi passi, annunciando nel 2017 uno stanziamento di 250 milioni per la conversione del complesso in un polo della pubblica amministrazione. Del progetto non si hanno notizie. Intanto il complesso, immerso in un parco di 28 ettari, sarebbe passato in gestione a Cassa Depositi e Prestiti.
Gli ospedali chiusi sono stati sostituiti da un nuovo modello di sanità diffusa, una rete di cura, incentrato sulle Case della Salute, presidi territoriali aperti dalle 8,00 alle 20,00 dove si erogano prestazioni sanitarie e sociali.
Il concetto di salute viene oggi inteso,secondo la definizione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità(OMS), non come assenza di malattia, ma come stato completo di benessere fisico, psichico e sociale , innalzando la quantità di servizi sanitari richiesti. In Italia il Servizio Sanitario Nazionale, pur con le difficoltà attuali, presiede il più importante dei servizi sociali: la tutela della salute di tutti i cittadini. Oggi costituisce uno dei più importanti comparti del settore pubblico dal punto di vista finanziario, occupazionale e produttivo,con un valore aggiunto nella ricerca scientifica e farmaceutica.
Per quanto riguarda il contesto sanitario della regione Lazio innanzitutto è utile precisare la situazione che caratterizza il territorio, anche da un punto di vista demografico. Nell’ultimo Piano Sanitario Regionale si osserva come il quadro demografico della popolazione laziale sia caratterizzato da una tendenza all’invecchiamento, con un incremento della classe di età pari a 65 anni sino a livelli decisamente più critici e, quindi, più pesanti dal punto di vista sanitario, rispetto agli anni precedenti.
Secondo i dati Istat al 1 gennaio 2018, la popolazione residente nella Regione Lazio si compone di 5.896.693persone ,costituita, per circa il 21%, da anziani con 65 anni e più, mentre è composta di grandi anziani (ottantenni e oltre) per circa il 6,5%; il 13% è costituito da minorenni (0-14 anni), il 65% della popolazione si colloca nella fascia d’età tra 15 e 64 anni .
Il tasso di ospedalizzazione della Regione Lazio mostra un andamento decrescente nel quinquennio 2012-2017, collocandosi nell’ultima annualità ben al di sotto della soglia di riferimento individuata dal DM 70/2015. In questo contesto ritroviamo che le malattie del sistema circolatorio rappresentano il gruppo di cause di ricovero più frequenti, seguite dalle malattie dell’apparato digerente e dai tumori maligni.
Ma uno dei dati che si mostra più allarmante, sia a livello regionale che nazionale, è quello che riguarda il numero di cittadini che soffrono di depressione maggiore.
La depressione, malattia riconosciuta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità come prima causa di disabilità a livello mondiale, riguarda circa 3 milioni di italiani, di cui circa 1 milione di persone soffrono della forma più grave, la depressione maggiore. Considerando solo il Lazio, dai dati Istat si stima che circa 112.000 cittadini soffrano di depressione maggiore,di cui circa 11.000 non rispondono ai trattamenti ,con gravi ripercussioni sulla qualità della vita dei pazienti stessi e dei loro familiari.
Diventa perciò di fondamentale importanza mettere a punto interventi efficienti e sostenibili per un potenziamento dei servizi sanitari ospedalieri e territoriali che possa consentire l’accesso alle cure al maggior numero di pazienti possibile, non solo a malati psichiatrici.
Da quanto si legge dal – BOLLETTINO UFFICIALE DELLA REGIONE LAZIO – N. 12 del 11/02/2020, l’obiettivo del prossimo triennio 2019-2021 sarà quello di avviare un percorso di trasformazione del sistema verso la piena integrazione tra ospedale, territorio e prevenzione, al fine di garantire la semplificazione dei percorsi dei cittadini, adeguati e appropriati livelli di assistenza ai pazienti , nonché azioni di promozione della salute.
Si individuano, in primis, i bisogni della popolazione generale, per la quale il Programma Operativo della Regione Lazio intende intraprendere strategie miranti, da un lato, a implementare interventi di promozione della salute, realizzati in collaborazione con attori esterni al SSR come la Scuola, le Imprese, i Comuni, i soggetti del Terzo settore, dall’altro a incrementare la partecipazione consapevole ai programmi di prevenzione collettiva come screening e vaccinazioni, e agli interventi di promozione di stili di vita salutari.
Data la vastità degli ambiti affrontati è necessario un approccio combinato tra interventi di comunità, orientati alla promozione della salute, e interventi di prevenzione miranti all’individuazione precoce di soggetti a rischio o all’identificazione delle patologie in fase precoce.
Il Piano Regionale della Prevenzione, in linea con le indicazioni nazionali individua quattro setting principali su cui agire: la scuola, l’ambiente di lavoro, la comunità e i servizi sanitari. I setting sono definiti come il luogo o il contesto sociale in cui più facilmente è possibile raggiungere individui e gruppi prioritari per promuovere la salute e realizzare interventi di prevenzione.
Sempre da quanto riportato dal – BOLLETTINO UFFICIALE DELLA REGIONE LAZIO – N. 12 del 11/02/2020, un ulteriore aspetto che si ritiene di dover affrontare è quello legato alla definizione di fabbisogni formativi. In linea generale, la Regione Lazio intende investire in una relazione strategica e programmatica con le Università presenti sul territorio, al fine di innescare circuiti virtuosi tra la fase di rilevazione del fabbisogno formativo espresso dal SSR (sia per la dirigenza medica e tecnico-specialistica, sia per le professioni sanitarie, sia infine per le funzioni manageriali), e la fase di programmazione dell’offerta formativa delle Università. Ferma restando la distinzione necessaria tra fabbisogno formativo del SSR e capacità formativa degli atenei presenti nel Lazio, alcuni dei quali godono di prestigio a livello nazionale e internazionale, rispondendo quindi a una domanda formativa che travalica i confini regionali, la Regione Lazio intende sviluppare con le Università un rapporto improntato alla partnership nel raggiungimento di obiettivi di miglioramento e di crescita dell’intero sistema sanitario, in termini di qualità e di efficienza attraverso l’adozione di nuovi Protocolli d’Intesa.
Il Lazio è una delle Regioni italiane dove, per la presenza di istituti pubblici nazionali, Istiutui di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico (IRCCS), Università o per la rilevanza delle strutture afferenti al proprio Servizio Sanitario Regionale (SSR), viene condotto un numero rilevante di studi clinici e di ricerca sanitaria – di base, traslazionale e clinica – del nostro Paese. In tale contesto, la ricerca può assumere una particolare valenza, sia come strumento di governo dell’innovazione nel Servizio Sanitario Regionale, che al fine di produrre ricadute sempre maggiori nelle capacità di risposta ai bisogni di salute della popolazione assistita.
Il sostegno delle Aziende sanitarie e degli IRCCS regionali nella conduzione dell’attività di ricerca avviene anche attraverso il supporto concreto nella partecipazione ai bandi di ricerca, attraverso un servizio di assistenza nella costruzione delle proposte di studio da inviare ai finanziatori pubblici e privati. A tal proposito degno di nota è sicuramente uno degli ultimi bandi emanati dalla regione Lazio denominato “Contributi per la permanenza nel mondo accademico delle eccellenze,” che prevede uno stanziamento di risorse a valere sul Fondo sociale europeo di 2,3 milioni di euro. La Regione garantisce alle università così pubbliche e private con sede nel Lazio la possibilità di erogare borse di studio ai dottori di ricerca più meritevoli, che potranno vedersi riconosciuto non solo un assegno mensile ma anche finanziamenti per la realizzazione delle proprie ricerche.
Gli Atenei, per usufruire di tale contributo, dovranno presentare progetti triennali che prevedono contratti della durata 36 mesi, che siano coerenti con le esigenze di sviluppo del territorio e che contribuiscano a mettere in rete il sistema regionale della ricerca e dell’innovazione con il sistema produttivo. Ogni progetto, a cui possono partecipare anche più ricercatori, può ricevere un contributo complessivo di 72,5 mila euro. Il fine è quello dell’allineamento tra gli obiettivi del Servizio sanitario regionale e la sua capacità di fare ricerca su temi rilevanti , in modo da trarre vantaggio dalla costruzione di reti di ricerca e il coinvolgimento dei ricercatori su tematiche strategiche per la Regione.
A cura di
Mariassunta Ucci – Biologa Ricercatrice
Isabella Aurillo-Coordinatrice Regione Lazio