INCAPACITÀ NEL PROGETTARE E PIANIFICARE O CARENZA DI RISORSE?
Quanto sia indispensabile avere gli uomini giusti nei posti giusti è una cosa risaputa. Indispensabile è puntare sulle competenze al fine di progettare, programmare, pianificare e realizzare nel modo giusto.
Molto spesso, nel sud d’Italia, e nello specifico in Campania, si sottolinea quanto sia iniqua la suddivisione delle risorse e con ciò si tende a giustificare ogni carenza sia strutturale che organizzativa.
È diffuso, infatti, l’assioma «carenza di risorse, deficit di risultati», avvalorato dalla tesi «che di più, con quello che si ha da investire, non si può ottenere».
Un’analisi più accorta, però, rivela che, se è vero che vi sono maggiori risorse destinate ad alcune aree geografiche del Paese, è altrettanto vero che non è stato sempre così e che molti dei fondi nel tempo intercettati derivano, principalmente, dalla capacità di lavorare su progetti ben definiti e dalla capacità di spendere i fondi nazionali ed europei messi a disposizione, creando sviluppo.
Piani per il Sud e fondi destinati al Sud si sono susseguiti negli anni a partire dalla fine della Seconda Guerra mondiale, con l’inframezzo della Cassa del Mezzogiorno, che segnò la c.d. ‘stagione della speranza’ e nacque da un’idea già sviluppata negli USA; l’intuizione era di prendere ad esempio le agenzie di sviluppo locale create durante il New Deal. L’idea di partenza era quella di predisporre programmi, finanziamenti e realizzare opere straordinarie mirate ad una vera rinascita del mezzogiorno d’Italia, valorizzando sia l’aspetto economico che quello sociale. Fu previsto un finanziamento di circa 100 miliardi di lire per ogni anno per il periodo 1951, anno di nascita, fino al 1960; successivamente fu aumentato. Nel corso del tempo, dal 1951 al 1991, la Cassa del Mezzogiorno ha elargito alle Regioni meridionali un totale di 82.410 miliardi di lire.
Il traguardo del risanamento del forte divario tra nord e sud sembrava vicino, ma si frapposero all’obiettivo notevoli disarmonie tra il tessuto sociale e le opere strutturali. Molte di queste opere divennero vere e proprie cattedrali nel deserto, poco funzionali rispetto alle necessità e alle emergenze, anche in ragione di una carenza di servizi adeguati. Sta di fatto che, nonostante i finanziamenti a fondo perduto e i significativi investimenti, il Sud pagò l’incapacità di programmazione e visione.
Ad esempio, alcuni insediamenti furono progettati in aree che avrebbero dovuto avere altri tipi di destinazione (Bagnoli fra tutti). Scelte strategiche sbagliate hanno provocato un dispendio di risorse senza utilità durature sia sotto il punto di vista di crescita infrastrutturale sia sotto il punto di vista di crescita più strettamente economica.
Concettualmente, poi, all’interno della stessa Regione, nel tempo si sono sviluppate politiche di sviluppo differenziate con risultati che hanno prodotto un maggiore sviluppo in alcune aree e una economia stagnante in altre, tale da procurare un eccesso di popolazione in certe zone e un drammatico spopolamento in altre.
Carenza di visione, dunque, e carenza di pianificazione nel medio lungo periodo le cui conseguenze si pagano ancora oggi.
Negli anni, poi, chiusa l’esperienza della Cassa del Mezzogiorno, si è passati ad altri tipi di investimenti come, ad esempio, quelli derivanti dai fondi europei, sempre con scarsa prova di capacità di progettazione e spesa.
Del resto, nella capacità di spesa l’Italia è agli ultimi posti in Europa.
A livello nazionale, evidenti sono le disparità anche in questo. Se la Campania è stata in grado di spendere soltanto il 34% delle risorse stanziate nel periodo 2007-2013, il virtuosissimo Abruzzo ha invece raggiunto l’82%.
Nella programmazione 2014-2020, restavano da spendere ancora 37,9 miliardi di euro, il 71,2% dei 53,2 miliardi assegnati al nostro Paese, mentre la spesa certificata alla Commissione europea, tra Programmi Operativi Nazionali e Programmi Operativi Regionali ammontava ad appena 15,3 miliardi di euro, il 28,8% del totale. La pandemia ha dato un’accelerata alla spesa, ma si è trattato di gestire una emergenza e gli investimenti, anzi le spese sostenute, non produrranno effetti strutturali in grado di fare da volano alla struttura economica e sociale regionale.
Se, poi, si guarda, il livello di spesa certificata, la Regione si presenta tra gli ultimi posti della speciale classifica, con il 26,9% di capacità di spesa (un po’ meglio degli anni trascorsi, ma le cause già sono state esplicitate come gli effetti di medio e lungo periodo). Sempre tra gli ultimi anche nella capacità di spesa dei fondi per le politiche sul lavoro giovanile.
Visto i tassi di forte disoccupazione giovanile e i dati sull’abbandono scolastico, la situazione è sconfortante.
I fondi del PNRR destinati alla Campania sono quantitativamente consistenti. Per il comparto della Sanità (mission 6), alla Campania spetterebbero circa 900 milioni, l’11% del totale, seconda alla sola Lombardia. Per i miglioramenti infrastrutturali su ferro, vi sono diversi miliardi di euro per un completamento e rafforzamento delle tratte Napoli-Bari, della diagonale Taranto- Metaponto-Potenza-Battipaglia e per la Salerno-Reggio Calabria. Per i Porti saranno destinati circa 360 milioni di euro, mentre per la gestione dei rifiuti importanti risorse saranno messe a disposizione Regionale.
Le somme messe a disposizione regionale sarebbero in astratto sufficienti a disegnare una Regione nuova., ma preoccupa l’incapacità di programmazione completa e di definizione di un piano organico di sviluppo.
Se, infatti, vi è da notare il grande dinamismo della città di Napoli che ha in cantiere progetti per svariati milioni di euro, è altrettanto palese che gran parte degli interventi nelle altre province sono ormai datati, non di visione e non orientati a target e missioni elencati nelle finalità europee. Alcuni di essi risultano addirittura già finanziati e non ancora cantierati in passato per ragioni burocratiche e/o di giustizia amministrativa.
La logica di progettazione è frutto di vecchie logiche di gestione, mentre le incapacità ataviche di programmazione si evidenziano in questa fase come il principale problema da affrontare. La questione non è solo di carattere burocratico.
Il timore che si fallisca anche in questa occasione è molto avvertito, anche per via della carenza di confronto con tutte le forze sociali, che porta a una visione settoriale e non sempre in linea con le reali esigenze dei territori. Da ultimo, si sono aggiunte le tragiche vicende belliche, che hanno inciso su approvvigionamento e costi delle materie prime.
Sarebbe oggi opportuno procedere a
– una rivisitazione del piano tenendo conto del fenomeno dello spopolamento delle aree interne, Sannio, Irpinia, Casertano e alto Cilento;
– una rivisitazione del piano, tenendo conto della emergenza energetica in atto e nello specifico atto a puntare su un’autonomia energetica che punti alla sostenibilità ambientale;
– elaborazione di un piano organico per il trattamento dei rifiuti teso alla valorizzazione degli stessi;
– elaborazione di un piano organico per il recupero di zone attrattive a livello turistico accelerando la fase realizzativa di masterplan già in essere;
– una rivisitazione del piano sanitario eccessivamente sbilanciato sulla edilizia ospedaliera e poco incisivo nel colmare il gap di personale.
Fondamentali nuovi tavoli di confronto al fine di pianificare insieme alle forze sociali e economiche regionali il futuro della Regione Campania.