Introduzione del diritto all’aborto in Costituzione: basta battaglie di forma. Si punti piuttosto all’effettività dei diritti

Introduzione del diritto all’aborto in Costituzione: basta battaglie di forma. Si punti piuttosto all’effettività dei diritti

L’iniziativa francese di inserire il diritto all’aborto in Costituzione riaccende il dibattito anche in Italia.
L’obiettivo dichiarato dai movimenti promotori di tale riforma costituzionale è quello di istituzionalizzare tale diritto a livello europeo.

L’intento è meritorio, ma la tecnica di ricercare l’effettività dei diritti nei testi scritti e non nella concretezza dei fatti non paga. Non lo ha mai fatto.
In Italia ha sempre portato a una stratificazione normativa che ha reso ancora più difficile l’attività dei giudici nella ricostruzione della regola applicabile ai singoli casi e che quindi ha affaticato la giustizia. Con ulteriore mortificazione di quelli stessi diritti che si intendevano rafforzare. Le recenti modifiche costituzionali, poi, con l’espressa previsione della tutela dell’ambiente e del diritto allo sport, non hanno fatto altro che ribadire, forse esplicitandole, previsioni già contenute nella Costituzione.
Più che ricercare una puntuale catalogazione di diritti che sono già espressi dal principio solidalistico e personalista di cui all’art. 2 cost., da quello di eguaglianza di cui all’art. 3 cost., dal diritto alla salute riconosciuto dall’art. 32 cost. e dalle libertà personali di cui all’art. 13 cost., bisognerebbe ragionare sulle migliori modalità di attuazione.
È tanto facile quando improduttivo combattere battaglie di forma, senza puntare davvero alla sostanza.

In Italia il diritto all’aborto è riconosciuto dalla l. n. 194 del 1978, e non può essere rimesso in discussione.
Una legge, frutto di un complesso e delicatissimo bilanciamento delle libertà e delle sensibilità, che è in sé strumento di attuazione di principi costituzionali (libertà di autodeterminazione, tutela della salute, diritto alla vita, principio di eguaglianza).

Il problema non è nel riconoscimento del diritto, ma nelle effettive possibilità di esercitarlo, con coscienza e volontà.

Uno dei limiti è dato dal diffuso esercizio dell’obiezione di coscienza. Il 69% dei ginecologi italiani è obiettore di coscienza, cioè si rifiuta di praticare le interruzioni volontarie di gravidanza, con cinque regioni italiane che superano la quota dell’80%, fino al 92,3% del Molise (che ha una sola struttura in tutto il territorio regionale attrezzata per le Ivg). È obiettore anche il 46,3% degli anestesisti e il 42,2% del personale sanitario non medico. Questo vuol dire aumento del numero di aborti clandestini, con i connessi rischi per la sicurezza.
Per tali ragioni, Meritocrazia Italia propone di
– evitare di assegnare ai reparti in cui si praticano aborti personale sanitario che si dichiara obiettore di coscienza
– riservare il 50% dei posti nei concorsi pubblici a medici non obiettori o inserire tale condizione a monte nelle clausole concorsuali;
– individuare almeno una struttura per provincia attrezzata per eseguire aborti terapeutici e volontari;
– istituire un albo pubblico per ogni ospedale in cui riportare i dati relativi all’obiezione di coscienza, per garantire la trasparenza e rendere pubblica tale posizione.

Occorrerebbe anche un rafforzamento delle politiche a tutela di maternità e paternità, attraverso una educazione sessuale maggiormente diffusa e l’applicazione di politiche sociali che garantiscano la scelta. La donna deve poter scegliere, non essere costretta a decisioni, in un senso o nell’altro, che in libertà non avrebbe preso.
La libertà si conquista con un’azione culturale costante e mediante un adeguamento sociale e infrastrutturale progressivo rispetto alle evoluzioni di tempi e costumi.
Stop war.



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