Introduzione ‘terzo genere’: contro le discriminazioni, no nuove etichette ma battaglie di libertà
La recentissima sentenza della Corte costituzionale sulla rettificazione di attribuzione di sesso riaccende il dibattito sul delicato tema del riconoscimento di un genere “non binario” (né maschile, né femminile).
Secondo i giudici, l’eventuale introduzione di un terzo genere di stato civile avrebbe un impatto generale, che postulerebbe necessariamente un intervento legislativo di sistema, nei vari settori dell’ordinamento e per i numerosi istituti attualmente regolati con logica binaria.
È un fatto che la percezione del singolo di non appartenere né al genere femminile, né a quello maschile sia fonte di disagio e spesso condizioni le relazioni sociali e lavorative e renda difficile la realizzazione delle personali attitudini e aspirazioni.
L’attesa è che un intervento normativo nella direzione suggerita possa ridurre le disparità di trattamento e assicurare maggiore rispetto per la dignità sociale di tutti gli individui e per la tutela della salute.
L’intento è apprezzabile. Purtroppo, però, il problema è più complesso di così.
Vale davvero dubitare che l’introduzione di nuovi criteri di catalogazione certa possa costituire la risposta adeguata a una questione che ha radici nel profondo del disagio culturale di una società ancora troppo poco inclusiva e immobilizzata, nello sviluppo civile, da vecchie incrostazioni culturali e pregiudizi cementificati dal tempo.
Si dimentica troppo spesso che, di là da orientamento sessuale e genere di appartenenza, facciamo tutti parte dell’unico ‘genere’ che conta, quello umano, e meritiamo di accedere tutti alle stesse occasioni di felicità e benessere.
Di fronte a questo, Meritocrazia Italia chiede che si facciamo meno battaglie di forma e per la forma, e che le energie siano piuttosto investite in rivoluzioni culturali di sostanza.
Il cambiamento non passa per il perbenismo formalista dei termini o nella finta apertura mentale di nuove etichette. Allo stesso modo, la vera libertà non è nella possibilità di utilizzare l’appellativo di ‘sindaca’, ‘avvocata’ o ‘ministra’, come non lo è, per converso, nella proibizione dell’uso di nuovi femminili; la vera libertà si conquista soltanto con la costruzione di opportunità reali di accesso a quegli incarichi, secondo ambizioni e desideri, indipendentemente dal genere.
Contro ogni forma di discriminazione si combatta realmente, tutti i giorni, senza nascondersi comodamente dietro gli inutili formalismi del politicamente corretto o delle catalogazioni certe.
Ai vecchi dogmi, inadeguati a una realtà in cambiamento, non se ne sostituiscano dei nuovi.
Si combatta per i diritti, per la meritocrazia e per l’equità sociale.
Stop war.