Italia, Paese d’immigrazione
Problemi in cerca di soluzione
Il problema dell’immigrazione clandestina non è soltanto italiano. Riguarda tutti i Paesi che hanno aderito agli accordi di Schengen, e dunque quelli europei oltre a Islanda, Liechtenstein, Norvegia e Svizzera.
È ovvio che il fenomeno dell’attraversamento del mediterraneo sui barconi, con le conseguenti migliaia di vite perse in mare, espressione del deprecabile traffico illegale di esseri umani, deve essere messo al margine. È necessario creare vie legali di accesso all’Europa, consentendo ai consolati e alle ambasciate italiane nei Paesi di partenza o di transito di vagliare le richieste di asilo dei migranti, in modo tale da permettere a chi ottiene l’avallo di giungere in Europa legalmente attraverso le frontiere, e non da clandestini.
Basterebbe anzitutto fare ragionevole e corretta applicazione del Trattato di Schengen, che già prevede la creazione di una frontiera esterna unica all’area Schengen, lungo la quale i controlli vengano effettuati applicando le norme comuni e procedure identiche per il controllo delle persone che attraversano le frontiere esterne degli Stati aderenti, con pieno coinvolgimento della guardia di frontiera e costiera europea (EBCGA-Frontex) per monitorare, individuare e affrontare le potenziali minacce per la sicurezza alle frontiere esterne dell’area Schengen, in supporto delle autorità italiane.
A tal fine, si dovrebbe richiedere all’Agenzia Frontex di costituire una sede in Italia per l’ottimale gestione delle attività in collaborazione con le strutture italiane preposte.
Tutti i costi sostenuti per il contrasto all’immigrazione clandestina, per la gestione dei rimpatri e la gestione dell’accoglienza dei richiedenti asilo dovrebbero essere imputati con copertura integrale al bilancio dell’Unione europea e dei Paesi che partecipano agli accordi di Schengen.
Il regolamento Dublino III, poi, impone ai richiedenti asilo di presentare la richiesta nel Paese di prima accoglienza. Principio che scarica il peso dei flussi migratori quasi esclusivamente sui Paesi esposti alle rotte del Mediterraneo, ossia Italia, Grecia e Spagna.
È assolutamente necessaria l’applicazione rigorosa degli accordi di Dublino che prevedono che la domanda di asilo sia presentata nel Paese Schengen di prima accoglienza dei migranti, che corrisponde: i) al Paese di bandiera della nave che ha prestato soccorso in mare, oppure ii) al primo Paese di ingresso nell’area Schengen nel caso in cui i migranti siano riusciti a raggiungerlo in piena autonomia.
A tal proposito non può non ricordarsi che una buona parte degli sbarchi in Italia avvengono attraverso il trasbordo tramite le navi delle ONG che operano nel Mediterraneo per soccorrere i naufraghi. La totalità delle navi delle ONG batte bandiera di altri Paesi europei. In base al diritto internazionale la nave, fuori dalle acque territoriali di un altro Stato, è considerata “territorio” dello Stato della Bandiera (art. 92-1 UNCOS – United Nations Convention on the Law of the Sea).
Per le navi in mare alto si applicano le leggi, tutte le leggi, anche quelle penali, dello Stato della Bandiera. Per queste ragioni il Paese di primo ingresso nell’area Schengen per i naufraghi soccorsi in acque internazionali da una ONG dovrebbe essere quello dello Stato che ha concesso le autorizzazioni alla navigazione e la bandiera alla nave.
In ogni caso, Meritocrazia invoca una maggiore responsabilizzazione e il pieno coinvolgimento dell’Agenzia Frontex per ciò che riguarda il rimpatrio dei migranti che non vengono ammessi nei programmi di protezione per i richiedenti asilo, conformemente a quanto deciso dal Consiglio europeo nelle conclusioni dell’ottobre 2015.
Sarebbe poi necessario provvedere alla redistribuzione dei richiedenti asilo, ammessi nei programmi di protezione (che sono una piccolissima parte rispetto ai richiedenti asilo; meno del 4% delle richieste di asilo presentate vengono effettivamente accolte, essendo la stragrande maggioranza dei richiedenti costituita da migranti economici quindi non qualificata ad ottenere asilo e protezione internazionale), in quote proporzionali in tutti gli Stati aderenti agli accordi di Schengen.
Non si deve trascurare, inoltre, il fatto che in Italia è presenta una ventina di Commissioni che valutano le richieste di asilo politico, oltre una decina di sedi distaccate, che impiegano in media 18 mesi per emettere il loro verdetto, il triplo del resto d’Europa. Tale lentezza da un lato si traduce in costi per la collettività, dato che i richiedenti asilo, nel frattempo, sono ospitati nei vari centri, e dall’altro spesso lascia margini agli stessi richiedenti di fuggire dai centri senza lasciare traccia.
Meritocrazia chiede di
– velocizzare le procedure, implementando le strutture e l’organico delle Commissioni, e introducendo un termine massimo di 1 mese per la definizione della procedura;
– implementare sistemi di intelligenza artificiale, in conformità alle esperienze consolidate in alcuni Paesi europei, per esaminare le richieste di asilo e per sottoporre i richiedenti a una serie di domande che supportino gli esaminatori ad individuare, in modo oggettivo e non soggettivo, tutti coloro che sono stati istruiti a rispondere a tali domande per tentare di ottenere asilo.
Per altro verso, occorrerebbe
– rivedere le procedure degli eventuali rimpatri, stipulando accordi europei con i Paesi d’origine dei migranti per consentire e facilitare i rientri;
– prevedere programmi di rimpatrio volontario assistito per chi accetta spontaneamente di rientrare nel Paese di origine;
– rifondare e implementare il numero dei Centri di permanenza per i rimpatri (CPR, ex Centri di Identificazione ed Espulsione – CIE) in non meno di 1 per ogni Regione e, contestualmente, prolungare il termine per il trattenimento almeno sino a 3 mesi, al fine di rendere eseguibile l’espulsione;
– trasferire le competenze (e i relativi costi) per il controllo e la gestione dei Centri di permanenza per i rimpatri all’Agenzia Frontex con il supporto delle forze dell’ordine sul territorio;
– prevedere il finanziamento dei CPR a totale carico del bilancio europeo e di tutti i Paesi che aderiscono all’Area Schengen, con costi da detrarre interamente e direttamente dal contributo italiano annuale al bilancio Comunitario;
– favorire azioni pro-attive per la formazione dei migranti per il periodo di permanenza nei CPR. In particolare, gli immigrati potranno essere immediatamente ammessi a frequentare corsi di lingua italiana. Contemporaneamente, in funzione delle attitudini di ciascuno (rilevabili con l’assistenza di personale specializzato tramite test psicoattitudinali) si potranno avviare gli stessi alla frequenza di corsi professionali intensivi per insegnare loro quei mestieri che potranno essere utili quando gli stessi saranno riaccompagnati nei rispettivi Paesi di provenienza. Ad esempio, si potranno effettuare corsi per riparatori meccanici, riparatori di frigoriferi, elettricisti, idraulici, infermieri, etc. Questo tipo di corsi potrà essere finanziato con vari tipi di fondi e programmi europei esistenti; o che potranno anche essere attivati ad hoc. I corsi potranno essere sponsorizzati anche dalle industrie private che potranno beneficiare di detrazioni fiscali per gli investimenti effettuati.
Si tratta di attivare tutte le forme possibili di cooperazione transnazionale, a livello europeo ed extraeuropeo, per promuove gli scambi di esperienze e di buone pratiche e per aiutare i Paesi in via di sviluppo a non perdere le loro risorse umane migliori e avviarsi verso uno sviluppo sostenibile.
In punto di strategie di accoglienza, occorrerebbe maggiore trasparenza nella rendicontazione delle spese e un migliore tenuta dei registri degli ospiti, con verifica mensile dei bilanci delle cooperative e associazioni che in Italia si occupano di accoglienza.
Va da sé che resta indispensabile una cooperazione internazionale per la creazione di centri di accoglienza in Paesi sicuri al di là del Mediterraneo.
Non va sottovalutato il problema della sicurezza.
A questo proposito occorrerebbe
– prevedere la perdita di diritto alla domanda di protezione internazionale ovvero la revoca, qualora già concessa, nel caso di commissione di reati in materia di terrorismo, spaccio di sostanze stupefacenti, rapina, violenza, danneggiamento, occupazione di edifici e terreni;
– prevedere una nuova fattispecie di reato finalizzata al contrasto alle organizzazioni internazionali per la tratta degli esseri umani.
Sarebbe altresì utile affidare ai Comuni, con il coordinamento delle Regioni e non alle Questure, la competenza a rilasciare il permesso di soggiorno di breve periodo, al fine di velocizzare le procedure e garantire un maggiore controllo delle polizie locali sul fenomeno dell’immigrazione e della permanenza regolare di cittadini di paesi terzi (analogamente alla Germania, dove il rilascio del permesso di soggiorno di breve periodo è di competenza dell’Ufficio immigrazione locale).
Le funzioni di disbrigo delle pratiche di prima assunzione dei lavoratori stranieri, di ricongiungimento familiare e di conversione del permesso di soggiorno dovrebbero essere affidate, invece, non alle Prefetture, ma alle Direzioni provinciali del Ministero del Lavoro. Le Questure siano autorizzate a rilasciare le informative ai Comuni (Casellario, rilievi A.F.I.S., riscontri S.D.I.) per il rilascio del permesso di soggiorno.
Si propone di prevedere il divieto della possibilità̀ di ottenere l’accesso ai benefici assistenziali (richiesta case popolari, sgravi contributivi ecc.) per gli immigrati extracomunitari attraverso semplici autodichiarazioni, uniformando la normativa con quella in vigore per i cittadini italiani.