Ius scholae: nessuna demagogia per la revisione della normativa sulla cittadinanza
All’indomani della chiusura dell’avventura olimpica è tempo di bilanci anche su temi inconsueti e apparentemente poco pertinenti tra loro.
L’ottima performance azzurra, infatti, ha destato l’attenzione sulla nuova versione di italianità, iconicamente rappresentata in un murales vandalizzato immediatamente dopo la sua esposizione e realizzato in omaggio dell’atleta italiana Paola Enogu di ascendenza nigeriana.
E, mentre i giornali riempiono le prime pagine con la triste notizia della dipartita di Alain Delon e la proposta di legge tutta tricolore (presentata alla Camera il 29 luglio) di istituire la Giornata Nazionale del Panettone italiano, qualche trafiletto viene dedicato al tema controverso dello ius scholae dopo che le tv di tutto il mondo hanno constatato che la squadra olimpica italiana, con una delegazione formata da 402 iscritti in 34 discipline, è decisamente multietnica e interculturale.
Facendo un passo indietro e andando con ordine, si deve evidenziare che la normativa in materia di cittadinanza meriterebbe una revisione alla luce dei mutati scenari geopolitici mondiali e degli imponenti flussi migratori che si dirigono incessanti verso l’Italia ormai da lungo tempo. Oggi è imperniata sul c.d. ius sanguinis: al di fuori dell’ipotesi di matrimonio, acquistano di diritto la cittadinanza italiana alla nascita e/o al momento dell’adozione coloro i cui genitori o almeno uno di essi siano cittadini italiani. Esiste una possibilità residuale di acquisto iure soli, se si nasce sul territorio italiano da genitori apolidi o se i genitori sono ignoti o non possono trasmettere la propria cittadinanza al figlio secondo la legge dello Stato di provenienza.
A fronte di tale assetto legislativo, i dati statistici che provengono dal comparto scuola rivelano che sono tantissimi gli alunni e le alunne con background migratorio che ogni giorno frequentano le scuole: basti pensare che, nell’a.s. 2021/2022, gli studenti senza cittadinanza italiana erano 872.360, il 10,6% degli iscritti nelle scuole dell’infanzia, primarie e secondarie.
A fronte di tali dati, ciclicamente si torna a parlare di ius scholae.
Sul tema si contrappongono gli orientamenti più garantisti, che evidenziano come il terreno di elezione per l’integrazione sia la scuola e che dunque non avrebbe senso escludere dalle prerogative di cittadinanza soggetti che sono a tutti gli effetti italiani nella sostanza (per essere nati, educati e vissuti in Italia), e coloro che invece ritengono non necessario intervenire sulla legislazione vigente per evitare che un accesso incontrollato alla cittadinanza possa tradursi in forme di abuso del diritto sia in senso nazionale che europeo.
In realtà, un primo tentativo di introdurre una forma di ius scholae si era già verificato con una proposta di legge approvata solo alla Camera nella scorsa legislatura, in base alla quale un minore, nato in Italia o arrivato entro il compimento del dodicesimo anno di età e legalmente residente in Italia, avrebbe potuto acquisire la cittadinanza in caso di frequenza regolare, per almeno cinque anni nel territorio nazionale, di uno o più cicli scolastici, piuttosto che di un periodo formativo a dieci anni o al compimento di tutto il percorso della scuola dell’obbligo.
In effetti l’introduzione dello ius scholae, oltre a fornire un’adeguata copertura in termini di diritti civili a tutti coloro che sono ampiamente inseriti nel tessuto sociale italiano, consente per certo di evitare speculazioni e strumentalizzazioni sulla cittadinanza.
Meritocrazia Italia è favorevole alla scelta di riconoscere lo status di cittadino a chi lo è a tutti gli effetti dalla nascita, ferma la necessità di evitare l’effetto domino di flussi migratori di solito concentrati verso quegli Stati che hanno politiche di welfare particolarmente generose verso i cittadini (e rispetto ai quali l’Italia spesso sconta il prezzo dell’esposizione geografica). A conti fatti, sarebbe del tutto anacronistico negare almeno lo ius scholae e difendere una normativa ormai non più attuale e inidonea a soddisfare le esigenze di una società che è irreversibilmente cambiata nel verso del maggior multiculturalismo. Il cambiamento non deve spaventare se affrontato con prudenza e ragionevolezza e con la determinazione di trovare soluzioni concrete oltre le ideologie o peggio le demagogie.
Stop war.