La bellezza di essere se stessi
Oggi ricorre l’anniversario della morte di Hans Christian Andersen, uno tra gli scrittori di fiabe più celebri al Mondo, dal cui genio hanno preso vita capolavori come ‘La principessa sul pisello’, ‘La sirenetta’, ‘La piccola fiammiferaia’, storie senza tempo che hanno contribuito alla crescita di varie generazioni, dettando una morale che, ancor oggi, resta attualissima e di ispirazione a livello universale.
Nelle fiabe narrate dallo scrittore danese possiamo infatti scorgere, celata tra le righe di una narrazione favolistica e incantatoria, la misera prosa della vita, che attraverso il racconto riesce a consegnarci una lezione esistenziale ma anche, e in maniera per nulla scontata, un atto umano di solidarietà profonda.
E tra le tante favole di Andersen una delle più affascinanti è, per me, proprio quella de ‘Il brutto anatroccolo’, che ho scoperto, poi, essere a carattere autobiografico, in quanto il vero anatroccolo è Andersen stesso, che, sin dall’infanzia, dovette fare i conti con la propria diversità e con l’emarginazione da parte dei suoi coetanei.
Un giorno, infatti, un critico letterario durante un’intervista chiese ad Hans Christian Andersen, ormai scrittore di fama, perché non si dedicasse alla stesura di una sua eventuale autobiografia. Il grande autore, sfoderando un sorriso arguto, rispose: «Ma l’ho già scritta. È il brutto anatroccolo».
Questa fiaba, in realtà, sottintende una miriade di significati occulti, psicologici ed etici.
La storia narra di una nidiata di anatroccoli, nella quale ve ne è uno diverso dagli altri, molto grande e goffo. Mamma anatra all’inizio tenta di difendere il proprio piccolino e cerca di accettare quel ‘figlio diverso’ individuandone le qualità, ma infine si adegua alle regole del branco.
Il povero anatroccolo è così deriso dai suoi fratelli e dalle altre anatre che continuamente lo punzecchiano con dispetti e insulti. Ed allora, sfinito dall’ennesima beffa, ecco che l’anatroccolo decide di fuggire dal pollaio e cercare da sé il proprio posto nel mondo.
Il viaggio è lungo e difficile, l’anatroccolo deve superare il lungo e freddo inverno, ma infine avviene l’incontro catartico con uno stormo di cigni, i quali non lo deridono, ma, al contrario, gli fanno festa e lo accarezzano col becco.
Ecco allora che, guardando il proprio riflesso nello specchio di uno stagno l’anatroccolo scopre, con grande sorpresa, di essere uno di loro.
Tutti lo festeggiano come il nuovo venuto e ammirano la sua giovinezza perché è il più bello di tutti.
Nel pollaio l’anatroccolo pativa le pene peggiori ed era considerato una nullità, ma la verità era che doveva solo cambiare contesto ed entrare nella sua ‘comunità naturale’ per riappropriarsi del sé e valorizzare la sua individualità.
L’anatroccolo era sempre stato un bellissimo cigno, solo ebbe la sfortuna di nascere in un pollaio, in mezzo a delle anatre schiamazzanti che non erano in grado di cogliere la sua bellezza.
Agli occhi delle anatre lui non era che un ‘diverso’ perché non corrispondeva ai valori sociali (e soprattutto estetici) della comunità in cui era inserito. Gli insulti delle anatre nascevano essenzialmente dal pregiudizio, una forma di difesa psicologica originata dalla paura: era la paura della diversità a generare nelle anatre un sentimento di ostilità nei suoi confronti.
Ma l’anatroccolo non era sbagliato, era semplicemente fuori-contesto: si trovava imprigionato in un mondo che non permetteva al suo talento e alle sue inclinazioni, persino alla sua bellezza, di emergere.
Nel commovente finale Andersen dimostra il valore intrinseco di ciascuno di noi, svelando una verità molto moderna che si adegua alle più moderne teorie sociologiche e psicologiche: il contesto è fondamentale.
Appare evidente che tra gli ‘agenti del cambiamento’ il potere del contesto assume invero una posizione dominante: le persone sono fortemente influenzate nel loro comportamento dall’ambiente circostante e dalla pressione che subiscono da parte del gruppo sociale a cui appartengono.
Ciò ci induce a riflettere sull’importanza che le nostre azioni rivestono nel definire un nuovo contesto o nel modificarne uno esistente. Siamo noi stessi agenti del cambiamento e se vogliamo che questo sia positivo (per tutti) dobbiamo comportarci in maniera responsabile e sviluppare la capacità di scegliere con coscienza quando subire il contesto e quando trasformarlo.
Viviamo oggi uno di quei momenti nei quali i cambiamenti non sono più lineari, bensì epocali; costituiscono delle scelte che trasformano velocemente il modo di vivere, di relazionarsi, di comunicare ed elaborare il pensiero, di rapportarsi tra le generazioni umane e di comprendere e di vivere la vita.
Capita spesso di vivere il cambiamento limitandosi a indossare un nuovo vestito, e poi rimanere in realtà come si era prima. Qui entra in gioco l’elemento della passione, perché oggi, abbiamo la grande occasione di mettere quello che siamo, i nostri sogni e le nostre qualità in questo progetto, per creare un domani esattamente come lo vogliamo.
Ognuno di noi può contribuire a creare una società migliore: questa è la vera sfida che ci aspetta.
La vera libertà esiste solo nell’impegno, perché nel mondo nulla di grande è stato fatto senza passione.
Dobbiamo avere la capacità di costruire un Paese in cui le persone sentono il peso della responsabilità di ciò che fanno, agiscono con decisione e con coraggio e non si tirano indietro quando si tratta di dare il buon esempio.
Un mondo dove le persone non lasciano accadere le cose ma le fanno accadere, non lasciano i sogni fuori dalla porta ma si fanno coinvolgere, assumono rischi e lasciano il proprio segno.
In questo quadro, davvero sottolineo con convinzione che Meritocrazia è la via maestra, perché, come disse il grande Mahatma Gandhi, «Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo».