LA COESIONE SOCIALE PASSA DAL LAVORO
Si osi nella costruzione di nuove politiche
Nell’accezione comune, è coesione sociale la combinazione di fiducia, cultura e benessere economico/sociale che caratterizzano una comunità.
La coesione economica, sociale e territoriale è stata al centro della strategia Europa 2020, come lotta all’esclusione e alla povertà e promozione dell’occupazione («crescita inclusiva»).
Maggiore enfasi al tema è stata riservata dal Consiglio d’Europa, che ha elaborato una strategia per la coesione sociale, definendo quest’ultima come «…capacità di una società di assicurare il benessere [welfare] di tutti i suoi membri, riducendo le differenze ed evitando le polarizzazioni. Una società coesa è una comunità di sostegno reciproco di individui liberi che perseguono obiettivi comuni con mezzi democratici».
La coesione sociale, nell’accezione riportata, è, dunque, alla base della politica sociale promossa dall’Europa.
In Italia, al fine di far fronte alle conseguenze cagionate dalla crisi sanitaria e di superare le preesistenti inefficienze del sistema in una prospettiva di ripresa e rilancio economico del Paese, nel PNRR è stata dedicata una specifica ‘Missione’ proprio a «Inclusione e Coesione», con riferimento a «Politiche per il Lavoro», «Infrastrutture sociali, famiglie, comunità e Terzo settore», e «Interventi sociali per la coesione territoriale». L’obiettivo è rafforzare le politiche attive del lavoro e la formazione professionale, sostenere il sistema duale e l’imprenditoria femminile e promuovere il ruolo dello sport come fattore di inclusione.
Con il suo pesante impatto economico e sociale, in effetti, l’evento emergenziale ha bruscamente riportato maggiore attenzione sul tema dell’occupazione e della povertà in Italia, mettendo in evidenza tutte le inefficienze del sistema. Nell’arco di pochi mesi, sul fronte lavoro, il Covid-19 ha radicalmente cambiato il modo di lavoro di tanti, costringendo altri a fruire di strumenti di natura assistenziale, e altri ancora a subire una contrazione della propria capacità reddituale a causa della chiusura temporanea e ripetuta della propria attività lavorativa. Così, accanto alle notorie difficoltà di inclusione derivanti da una carenza di opportunità e da storiche distorsioni e disequilibri del mercato del lavoro (differenze di genere, di etnia e inoccupazione giovanile), se ne sono create di altre legate a nuove modalità di lavoro e socializzazione.
Il passaggio al lavoro a distanza, home working, in primis, ha generato effetti negativi in termini di eguaglianze sociali:
– la distinzione tra coloro che hanno potuto e coloro che non hanno potuto lavorare da casa;
– gli squilibri vita-lavoro che ha colpito in modo maggiore il mondo del lavoro al femminile e che ha causato il fenomeno distorsivo di una carenza dei limiti tra vita privata e vita lavorativa;
– i disagi legati all’improvvisa adozione di sistemi da remoto che hanno impattato sulla vita lavorativa dei soggetti interessati senza un’adeguata formazione ed una corretta strumentazione, con costi molto spesso scaricati sui lavoratori.
Sul versante della lotta alla povertà, invece, da un recente studio condotto dall’OCIS – Osservatorio Internazionale per la Coesione ed inclusione sociale –, è emerso che il principale intervento di contrasto alla povertà posto in essere dal Governo italiano è stato rappresentato dal reddito di cittadinanza, affiancato poi dal reddito di emergenza.
In realtà, il reddito di cittadinanza ha la sua carenza principale proprio nel voler perseguire due scopi distinti, identificati nella lotta alla povertà e nel voler essere politica attiva del lavoro.
Tali limiti hanno fatto sì che non si raggiungessero gli obiettivi iniziali, causando una distorsione che ha alimentato il mercato sommerso o ha generato una politica assistenzialistica finalizzata a se stessa.
La parte assistenziale deve essere distinta da quella di politica attiva del lavoro, prevedendo uno strumento, autonomo, per la lotta alla povertà: il reddito di sussistenza.
Negli auspici, il reddito di cittadinanza dovrebbe essere trasformato in reddito di inclusione o di inserimento, finalizzato al recupero di una concreta politica attiva di avviamento al lavoro, con la creazione simultanea di una banca dati informatica nazionale, ossia un sistema informatizzato di matching domanda/ offerta, snellendo, altresì, la burocratizzazione della cosiddetta economia on demand. Tale reddito potrà essere concesso solo dopo che i lavoratori si siano già attivati in lavori socialmente utili e/o iscritti a corsi di formazione professionali e/o di approfondimento, nei settori più utili al sistema economico italiano, con regolare frequenza e attestati di fine corso, comunque con un termine massimo non rinnovabile pari ai 18 mesi connessi allo strumento di sviluppo e prevedendo in carenza un inasprimento delle sanzioni vigenti.
Prendendo atto, nel mentre, della realizzazione del Reddito di emergenza (RdE) e dei suoi criteri attuativi, lo stesso dovrebbe essere trasformato in reddito di sussistenza, tale da garantire alle persone indigenti dignità ed opportunità di inclusione sociale.
I due sistemi dovrebbero collegarsi ad un reddito minimo stabilito per legge, dignitoso ed equo, sotto il quale dovrebbe intervenire lo Stato per ripristinare adeguate condizioni economiche atte a garantire una vita socialmente attiva e a donare opportunità di benessere che deve essere alla base di una nuova coesione sociale.
Occorre intervenire in riassetto del mondo e del mercato del lavoro, in funzione riequilibrativa e di rilancio del comparto occupazionale e produttivo del Paese, per correggere le iniquità e favorire la giusta distribuzione delle opportunità.
L’obiettivo da porsi è incrementare l’occupazione e ridurre la disoccupazione e l’inattività, costruendo una strategia volta a conseguire l’ampliamento della partecipazione al mercato del lavoro, anche nella prospettiva del rapporto tra generazioni.
Le politiche attive del lavoro dovranno combinarsi con le politiche sociali, per assicurare un’adeguata compatibilità tra flessibilità, sicurezza e qualità della vita e del lavoro.
In ottica di realizzare una riforma completa ed efficace del mercato del lavoro, dopo anni di tentativi, è necessario porre al centro il concetto di una maggiore flessibilità, nel senso di creare i presupposti per nuove opportunità di lavoro anziché, come avvenuto in passato, generare conseguenti effetti distorsivi che hanno invece rafforzato solo il fenomeno tristemente noto del precariato.
A tal fine, è importante realizzare:
– il rilancio dell’occupazione mediante il perseguimento di una politica fiscale che consenta l’abbassamento del costo del lavoro, la detassazione degli aumenti contrattuali, la previsione di incentivi fiscali all’assunzione ed alla stabilizzazione dei posti di lavoro, la decontribuzione del welfare aziendale;
– la stipula di un nuovo ‘Patto sociale nazionale del lavoro e dell’impresa’ che vada ad adeguare le previsioni della l. n. 300 del 1970, al fine di garantire uniformità di tutele e di diritti, contemperando le esigenze dell’occupazione e della produzione, nell’ottica di rilancio produttivo e di salvaguardia dei posti e delle condizioni di lavoro;
– la complessiva revisione del quadro normativo per la lotta al lavoro sommerso e alle irregolarità lavorative, partendo dall’inasprimento delle sanzioni vigenti e dall’inserimento di previsione di sanzioni penali, con l’inserimento di massimali connessi alla dimensione e alla media del fatturato datoriale degli ultimi tre anni;
– la proposizione di un sistema formativo e selettivo del personale, comprensivo dell’implementazione delle soft skills e dell’analisi scientifica e di mercato degli ambiti lavorativi, con individuazione di settori in cui investire al fine di creare nuove opportunità di lavoro (basando la trend line politica sul focus dell’ambiente, dell’economia circolare, della green economy, della valorizzazione del patrimonio storico, culturale e turistico del nostro paese e negli ambiti digitali), i) con creazione del libretto delle competenze del lavoratore mediante sistema blockchain e promozione di più adeguati sistemi di formazione tecnico/pratici; ii) detassando i relativi costi ed incentivando i soggetti che offriranno formazione qualificata per specifiche categorie di lavoratori (giovani, donne, disoccupati, soggetti svantaggiati) in condizione di debolezza nel mercato del lavoro o a rischio esclusione sociale; iii) destinando i Fondi interprofessionali, oggi attribuiti alla formazione nelle imprese, al servizio per l’occupabilità e alla ricollocazione dei lavoratori, trasformando i fondi interprofessionali e bilaterali in interventi congiunti alle Politiche attive del lavoro, a favore della ricollocazione e della riqualificazione professionale;
– la definizione di linee normative di effettiva regolamentazione del lavoro digitale e dello smart ed home working, in superamento dell’ibrido connesso al tele-lavoro, così da favorire una corretta gestione degli istituti basati sul perseguimento di progetti ed obiettivi più che sulla mera messa a disposizione del tempo lavorativo, con attenzione per adeguati percorsi di formazione specifica di personale e dirigenti aziendali;
– la creazione di tre macroaree al Nord, al centro ed al Sud Italia Free tax, nelle quali si possano stabilire insediamenti produttivi con esenzione totale tasse e contributi dipendenti per almeno 5 anni, con obbligo di assunzione di almeno 30 unità e permanenza in Italia per un periodo non inferiore a 30 anni;
– realizzare il più volte rappresentato ‘patto generazionale’ per sanare il divario occupazionale attualmente esistente.