LA CONSAPEVOLEZZA SULL’AUTISMO
Dallo studio alle proposte, per l’inclusione
Il 2 aprile 2021 si celebra la quattordicesima Giornata mondiale della consapevolezza sull’autismo.
Quattordici anni di riflessione per assumere contezza di un fenomeno diffuso, ma al quale in Italia non è stato dedicato lo spazio di accurate analisi statistiche.
Tutto ciò che si sa proviene principalmente da studi americani, che riferiscono di un’incidenza, prevalentemente maschile, che oscilla fra l’1% e il 2% della popolazione. In Italia si direbbe circa 600.000 cittadini.
Contrariamente a quanto ritenuto fino a pochi anni fa, l’autismo non è di un solo tipo. Il disturbo del neurosviluppo può manifestarsi in maniera diversa e a livelli diversi di gravità. Più opportuno è, dunque, parlare di spettro autistico.
La presenza di un componente familiare autistico è una condizione che incide sensibilmente sull’organizzazione e sulle scelte di vita; le energie e l’emotività profuse nel supporto alla persona autistica sono significative.
Nelle situazioni più gravi i genitori notano i primi sintomi entro i due anni di vita; i campanelli d’allarme sono: deficit nell’interazione sociale, deficit nella comunicazione, interessi e comportamenti limitati e ripetitivi, solitamente anche l’alimentazione è anomala.
A casa e non solo, sono questi particolari atteggiamenti che allarmano genitori e insegnanti.
Non si possono negare le difficoltà che l’accertamento comporta.
Il contesto sociale si rivela spesso impreparato all’accoglienza di persone con problemi di comunicazione. A volte occorre confrontarsi con aggressività e autolesionismo. Il carico economico da sostenere non è di poco conto, anche per il bisogno di assistenza continua che frequentemente causa la perdita del lavoro di almeno un familiare, il caregiver.
Il passaggio dall’adolescenza all’età adulta complica la situazione: a volte si è dimessi dai servizi, i rapporti con le strutture sanitarie e con i professionisti diventano più sporadici e burocratizzati, il supporto clinico-terapeutico muta in una sorta di assistenza fantasma ulteriormente gravata del fatto che nelle tabelle dell’invalidità civile non esiste il termine autismo e si viene individuati con le categorie delle malattie mentali.
I cittadini autistici (e le loro famiglie) devono poter essere accompagnati sul percorso delle pari opportunità, per una reale inclusione sociale, e devono poter accedere a opportunità lavorative secondo aspirazioni ed esigenze.
Occorre passare dall’idea del “soggetto in cura” alla logica della Persona in crescita.
Per questo, servono adeguati interventi di supporto.
Dall’età infantile e fino al “dopo di noi”, serve avere innanzitutto una visione chiara della dimensione del fenomeno attraverso la condivisione delle informazioni e delle cartelle cliniche in tutta la rete dei servizi sanitari, sociali, educativi, di istruzione, occupazionali, preliminarmente, creando un “Registro” per programmare e monitorare interventi ad alto livello di integrazione fra tutte le figure indispensabili per generare una migliore qualità di vita.
Inoltre, l’intervento precoce e la presa in carico in un’ottica life-span (accompagnamento in tutte le fasi della vita) garantirebbe una maggiore efficacia dei servizi abilitativi con azioni personalizzate, tempestive e adeguate nei confronti delle eventuali psicopatologie fonte di disagio familiare e istituzionalizzazione.
Va rivalutato l’assessment dei tecnici e degli operatori specializzati (es. ABA, DERBBI, TEACCH), per l’importanza delle competenze nella gestione dei comportamenti; auspicabile una valutazione operata da organismi terzi e la previsione di un albo di specialisti qualificati ad hoc, vista la connotazione sanitaria della professionalità richiesta e da garantire.
Parimenti, dinanzi all’insufficienza numerica dei Servizi Territoriali di Neuropsichiatria riscontrati in diverse regioni, si rileva la necessità di incrementarli facilitando anche la collaborazione riconosciuta a livello sanitario tra Servizi in modo da garantire qualità a tutti.
Sarebbero da rivisitare i modelli organizzativi, onde formare specificatamente tutti gli operatori sugli approcci di cura e gestione più idonei per accogliere e prendere in carico anche le persone autistiche.
I provvedimenti a favore delle famiglie mirino a riconoscere con forza il ruolo del caregiver, e assicurino consapevolezza nella scelta della figura di riferimento per il “dopo di noi”.
Interventi legislativi decisi dovrebbero convergere nella definizione formale del caregiver con possibilità di conseguire un riconoscimento economico/previdenziale, per configurare al meglio il proprio percorso pensionistico e svolgere serenamente il proprio ruolo.
In contemporanea, le famiglie andrebbero informate e formate costantemente sulle figure più consone a tutelare i propri cari nelle diverse fasce d’età atteso che le figure del tutore, curatore e amministratore di sostegno diventino elementi di riferimento nel maggiore interesse di tutti i soggetti più deboli, comprese le persone autistiche.
Fonti: www.msdmanuals.com
www.avvenire.it
www.angsa.it
Rapporti ISTISAN 20/17