LA CULTURA DELL’INCONTRO – 20 FEBBRAIO 2022
«Bisogna credere in se stessi». È regola fondamentale perché ogni sforzo ripaghi.
È vero.
E mi viene in mente una storia ambientata nella Sicilia di fine ’800 e inizi ’900.
Giovanni Verga divenne abile scrittore e drammaturgo sotto la guida di due Maestri, Antonino Abate e Domenico Castorina, autori di opere complesse e di rottura rispetto a un contesto culturale ancora profondamente arretrato. Verga seppe moltiplicare le note dei Maestri e, partendo dal loro insegnamento, riuscì a creare uno stile più moderno, e a dare avvio a una letteratura nuova, guadagnando così un posto importantissimo nella storia della letteratura nazionale e internazionale.
Capita che dalla scuola di maestri non straordinari escano talenti ineguagliabili. A volte, l’eredità in negativo è raccolta da chi ha l’abilità di trasformarla in qualcosa di migliore. Basta avere fiducia nel proprio talento e puntare all’obiettivo con tenacia e determinazione.
Oggi si ricorda Verga per opere come ‘I Malavoglia’ e ‘Mastro Don Gesualdo’, ma è soprattutto in ‘Storia di una capinera’ che lo scrittore mostra tutto il suo coraggio. In un momento storico di fragilità economica, organizzativa e culturale della Sicilia, trovò la forza di guardare alla fredda realtà e di coglierla nelle sue pieghe più segrete, per raccontarla e fermarla nel tempo.
‘I Malavoglia’ è un manifesto del verismo. Descrive l’umanità dei vinti.
‘Mastro Don Gesualdo’ mette a nudo la debolezza di una classe sociale in decadenza.
‘Storia di una capinera’ rappresenta tutta la difficoltà di essere donna. È descritto il tormento interiore di una giovane che vive una vita che non le appartiene e non desidera, costretta dal padre a prendere i voti.
Storie incredibili, che trasmettono con nitidezza il travaglio di chi deve andare avanti nonostante le difficoltà e il peso del sacrificio, in un conflitto effimero tra il bisogno affannoso di accumulare ricchezza e la rinuncia alle gioie della vita.
È essenziale saper guardare da lontano, per mettere a fuoco e vedere meglio la realtà. Senza il giusto distacco e senza lucidità di visione, si corre il rischio di accentuare le fratture e dare alimento a sentimenti negativi di odio e rancore. Non si può restare concentrati solo su ciò che non va bene e sui difetti altrui e affidarsi all’impulsività delle emozioni.
Ogni problema va studiato dal giusto angolo prospettico.
Partendo dal piccolo, di fronte alle incomprensioni o alle difficoltà di comunicazione, la prima analisi deve riguardare se stessi. Non si ricerchi la responsabilità dei propri fallimenti nell’altro, per dare alibi alle proprie debolezze. Cerchiamo di capire, piuttosto, cosa avremmo potuto fare e non abbiamo fatto, che cosa avremmo potuto dire e non abbiamo detto.
La vita sociale è vita di relazione ed è retta dalle diversità.
Un esercizio utile per imparare ad apprezzare punti di vista differenti e approcci differenti, può essere quello di avvicinarsi e aprire il dialogo con chi ci sembra più lontano, per sensibilità, esperienza e modo d’essere.
Questo può servire ad acquisire la capacità di mettere in discussione le certezze, a non cedere al fascino di false verità. E, finalmente, conoscere, e comprendere.
Così si semina la Cultura dell’incontro.
Non è semplice. Ma l’impegno ripaga sempre.