La desolazione della finta felicità
Affascinante è la storia di vita di Carlo Goldoni, per il suo conflitto interiore e per le particolari vicende familiari, che lo hanno reso ancora più vulnerabile e indeciso.
Mi è venuta in mente in questi giorni, perché Goldoni ha avuto una residenza anche a Rimini, dove noi ci apprestiamo a svolgere la prossima direzione nazionale, anche se la città della sua affermazione fu Genova, e Venezia quella in cui il suo successo trovava conferma.
Nel 1753, ne ‘La locandiera’, bene rappresenta tutto il borioso parassitismo dell’aristocrazia del tempo. Centrale l’astuzia di Mirandolina, che riesce a conquistare il cavaliere di Ripafratta, l’unico uomo a non trattarla con svenevolezza e ammirazione ma anzi a rivolgersi a lei con aria canzonatoria. Dopo averlo conquistato, la locandiera non sceglie di accettare il corteggiamento finale, per cedere invece alla proposta di matrimonio di un suo cameriere. Femminilità e concretezza borghese. Con lucidità e sicurezza di sé, Mirandolina si fa capace di ottenere ciò che vuole, calcolando ogni mossa, con la stessa precisione di calcolo che dovrebbe essere alla base di ogni progetto.
Alla fine, comunque, emerge che quello che conta non è la mera affermazione personale. È inutile spendere energie per inseguire il superfluo, se non accompagnato da seria costruzione. Se poi lo stato di cose non cambia davvero.
La contraddizione sulla quale si regge l’opera di Goldoni è quella tra il potere soggiogante del fascino femminile e l’incredibile debolezza di uomini che pure si ritengono superiori per appartenenza sociale.
Si insiste ancora tanto sulle diversità sociali e culturali, ancora si parla di aristocrazia e borghesia, sia pure in accezioni nuove e più moderne, e si dimentica che camminiamo tutti sulle medesime fragilità.
In tantissimi sostengono di non aver tempo per i progetti di cittadinanza attiva, ma spendono risorse preziose nel tentativo di costruire la vita perfetta, il più aderente possibile agli standard imposti da una società miope. Genitori che si preoccupano di garantire ai propri figli la possibilità di frequentare le scuole più prestigiose, senza curarsi dell’ambiente nel quale sono destinati a crescere. Meticolosa attenzione nella realizzazione di sovrastrutture prive di reale consistenza.
Cura dell’apparenza fine a se stessa. La verità dei dettagli non conta.
Solo facciata. Dietro nulla.
Una felicità precaria, effimera.
Contribuire al miglioramento del contesto e alla costruzione della felicità comune è parte essenziale di ogni progetto di benessere individuale.
La profonda, forse naturale, contraddittorietà del vivere umano, della voglia di apparire senza essere, è ancora più accentuata in una modernità fatta di artificio. Si punta al massimo benessere, e si finisce per raccogliere il peggio, nella finta socialità, nella deriva ambientale, nel degrado delle istituzioni. Si punta a riempire la propria vita di persone e cose, ma si soffoca nella morsa del nulla.
Se un like vale più dell’affetto sincero, se la mente dell’Uomo sceglie di cedere il posto a quella delle macchine, la sfida della riconquista della bellezza vera diventa ancora più ardua.
In un momento storico così, progetti come quello di Meritocrazia Italia diventano vere e proprie missioni. Complicatissimo coinvolgere persone disposte a cedere una parte di sé, per guadagnarne una parte più grande attingendo dal confronto, per la realizzazione di un’opera duratura, a beneficio anche di chi verrà.
La costanza è una virtù in estinzione. La proposizione senza distruzione merce rarissima.
Eppure nell’egoismo la società perde sempre.