LA DIFFICOLTÀ È VITA – 7 FEBBRAIO 2021
È nei momenti peggiori che si riconoscono le persone migliori. L’agio e il benessere, invece, fanno emergere vizi e difetti.
Il meglio viene sempre dalle difficoltà.
Questo fa riflettere, specie alla luce dei gravosi affanni del momento, epilogo di un’epoca di approssimazione e superficialità.
La prolungata crisi sociale ha scardinato le antiche certezze; ha messo in disaccordo politica e democrazia, che, da tasselli di un unico puzzle, spesso sembrano escludersi vicendevolmente.
L’idea del partito costruito sull’autorevolezza di un leader capace di interpretare le sofferenze, rappresentare le masse e assumere le decisioni con determinazione e tempestività è stata rimpiazzata dall’aspirazione di conquista di un potere diretto di gestione da parte del Popolo. I cittadini hanno voluto riprendere il controllo delle proprie sorti, in una comprensibile ambizione di rivalsa. Il leaderismo è stato immolato nel nome della democrazia.
L’insoddisfazione per un sistema elitario ha spinto a tentare un allargamento della base decisionale. Le speranze di correggere le storture si sono risolte nell’illusione che autonomia e libertà si possano conquistare una volta e per tutte.
Ma le attese sono andate deluse, tradite dall’egoità dei singoli, travolte nella spirale vorticosa delle lotte di accaparramento del potere.
E alla fine viene comunque concessa visibilità a nuovi finti leader, scelti per attrattività mediatica e capacità di catturare l’attenzione con slogan efficaci, ma privi della consapevolezza che soltanto percorsi di crescita condivisa possono conferire e della capacità di selezionare e rispondere ai bisogni.
A questo ha portato il disprezzo nei confronti di chi forse avrebbe avuto la forza di cambiare le regole del gioco.
La nuova dimensione della democrazia populista, insomma, ha creato una nuova casta e si è ritorta contro il suo creatore. Nel paradosso, i posti di maggiore responsabilità sono occupati dalle persone meno adeguate. Senza formazione o competenze, assumono ruoli di controllo e di indirizzo, lontani dal sacrificio quotidiano dei più e incapaci di dare sollievo al disagio.
In questo le radici del degrado progressivo.
Zygmunt Bauman racconta l’esperienza dell’epoca moderna con grande efficacia e lucidità. Descrive bene la nuova spaccatura tra ‘società dell’alto’ e ‘società del basso’, tra élite cosmopolite e masse territorializzate. Da un lato, nuove lobby assetate di potere, disinvoltamente disposte a tutto pur di rimanere a galla, pronte a rinnegare i valori per i quali dichiarava di combattere. Dall’altro, i cittadini, soli ai loro problemi, disorientati, ignorati o non compresi, privati di ogni capacità di resilienza, supinamente piegati a inadeguate decisioni altrui.
Tolta la maschera alla nuova democrazia, resta una sconfortante anarchia.
Nessuna fiducia. Nessuna prospettiva. Lo sguardo rivolto alla contingenza.
La formula più deleteria, perché non lascia scampo alle debolezze e alle fragilità.
E allora, di fronte a un tessuto sociale ed economico lacerato, è dovere di ciascuno ricavare il meglio di sé e metterlo a disposizione della comunità. Con lavoro costante e pazienza, è ancora possibile ricostruire il benessere collettivo attraverso l’azione individuale e la riconquista della libertà partecipativa.
Meritocrazia ha il coraggio di immaginare un mondo diverso.
Assume le responsabilità nei confronti del presente e del futuro.
Risponde alle difficoltà con la serietà della concretezza.