LA LOTTA AL CLIMATE CHANGE
Una sfida che non può attendere
La temperatura media globale per il periodo 2016-2020 è stata la più elevata mai registrata, circa 1,1°C sopra la media 1850-1900 (di riferimento per valutare la variazione di temperatura dall’era preindustriale) e 0,24 ºC più caldo della temperatura mondiale per il periodo 2011-2015.
Nel quinquennio 2020-2024, la probabilità che i livelli preindustriali vengano superati di 1,5ºC in almeno un anno è del 24%. È probabile (del 70%) che, nei prossimi cinque anni, ci saranno uno o più mesi con una temperatura di almeno 1,5ºC al di sopra dei livelli preindustriali (Climate Change, 2021).
I dati statistici sullo stato dell’ambiente in Europa nel 2021 sono chiari e non lasciano spazio a dubbi.
È giunto il momento di interventi seri e decisi, perché l’esame degli studi sull’andamento del clima, sebbene lasci spiragli di positività, non fa emergere evoluzioni particolarmente positive. Urge un cambio di rotta per affrontare le sfide poste dai cambiamenti climatici, invertire il processo di degrado e assicurare il benessere alle generazioni future. Occorrono per certo maggiore coesione da parte di tutti i Paesi e misure di maggiore coraggio e determinazione. Porre un freno all’aumento straordinario della temperatura e ridurre le emissioni provocate dall’impiego dei combustibili fossili (causa dell’aumento incontrollato della temperatura) è missione indifferibile.
Senza banalizzare, si può dire che il cambiamento climatico è il prodotto dell’irresponsabile sfruttamento della natura avviato da decenni.
La Commissione Economica per l’America Latina e i Caraibi (ECLAC) descrive il cambiamento climatico come «la variazione globale del clima della Terra dovuta a cause naturali, ma principalmente all’azione umana, che si traduce in combustione di combustibili fossili, perdita di foreste e altre attività prodotte nei settori industriale, agricolo e dei trasporti, tra gli altri». Tra i fenomeni più preoccupanti, la ritenzione del calore del sole nell’atmosfera, il noto ‘effetto serra’. Le emissioni di gas a effetto serra, derivanti dalle attività umane, sono, insomma, la causa prima del cambiamento climatico. Oggi si assestano al livello più alto nella storia.
Senza una politica attiva di interventi, il surriscaldamento climatico comprometterà la qualità della vita e l’economia di intere nazioni, con vertiginoso aumento delle difficoltà di produzione del cibo.
Nonostante le diffuse pratiche virtuose (come l’utilizzo di energie rinnovabili), servono soluzioni coordinate a livello internazionale, per la costruzione condivisa di un’economia a bassa emissione di carbonio.
Un passo è stato compiuto con l’Accordo di Parigi sul Clima, dell’aprile 2015, intesa mondiale sul cambiamento climatico che stabilisce un quadro globale per evitare pericolosi cambiamenti climatici, limitando il riscaldamento globale ben al di sotto dei 2ºC e proseguendo con gli sforzi per limitarlo a 1,5ºC. L’accordo punta a rafforzare la capacità dei Paesi di affrontare gli impatti dei cambiamenti climatici e a sostenerli nei loro sforzi. Si è trattato di un agreement complesso, il primo accordo universale e giuridicamente vincolante sui cambiamenti climatici.
I Paesi dell’Unione europea sono tra i 190 firmatari e hanno formalmente ratificato l’accordo il 5 ottobre 2016, con entrata in vigore al 4 novembre 2016.
Gli strumenti per rendere operativo il trattato sono stati approvati nel c.d. pacchetto di Katowice, adottato in occasione della conferenza delle Nazioni Unite sul clima (COP24) nel dicembre 2018. Un corpus normativo che consentirà alle parti di rafforzare progressivamente i loro contributi alla lotta contro i cambiamenti climatici, al fine di conseguire gli obiettivi a lungo termine dell’accordo.
Nel dicembre 2020, l’Unione europea ha presentato i suoi NDC (Nationally Determinated Contribution – c.d. contributo determinato a livello nazionale), aggiornati e rafforzati, con l’obiettivo di ridurre le emissioni di almeno il 55% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990 e promuovere la diffusione di informazioni per facilitare la chiarezza, la trasparenza e la comprensione delle politiche di contribuzione statuale alla lotta al climate change. I Paesi membri, con azione congiunta, si sono impegnati a raggiungere l’obiettivo vincolante di riduzione interna netta di almeno il 55% delle emissioni di gas a effetto serra entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990.
L’Italia, rispetto ad altri Paesi, è più esposta per ragioni geografiche, trovandosi al centro del Mediterraneo che si è scaldato più degli oceani e libera più energia in atmosfera. Non si può trascurare la morfologia dei territori (colline e montagne che franano) e le ragioni antropiche, vista la massiva cementificazione degli anni ’60. Tutto ciò ha comportato un aumento di 2,2 °C della temperatura media in Italia.
Quanto alle Americhe, mentre gli USA sono usciti dall’Accordo di Parigi, in America Latina si cerca di sviluppare politiche di salvaguardia ambientale, preso atto che i due grandi oceani che circondano il continente (il Pacifico e l’Atlantico) si stanno riscaldando e acidificando con l’innalzamento del livello del mare. La fornitura di cibo e acqua ne risentirà, sì come salute e benessere, e le infrastrutture per sostenere città e paesi sono più a rischio.
È previsto che, entro il 2100, il livello del mare potrebbe aumentare da uno a quattro piedi in più. Una minaccia per l’intera America Latina, dove la maggior parte della popolazione vive proprio nelle zone costiere.
A una approssimativa ricognizione, senza pretesa di esaustività:
– secondo il V Rapporto di valutazione del Gruppo intergovernativo di esperti sui cambiamenti climatici, il 4,3 della deforestazione globale si verifica in Argentina (afflitta da inondazioni, siccità, perdita di biodiversità, inquinamento, abuso di combustibili fossili, cattiva gestione dei rifiuti, etc.) a causa dell’avanzata della coltivazione della soia, che rappresenta il 18% della superficie coltivata mondiale;
– secondo l’accordo di Parigi del 2015, il Brasile ha promesso di ridurre il 37% delle sue emissioni di carbonio entro il 2025 e il 43% entro il 2030; tuttavia, le politiche ambientali recenti allontanano dal traguardo: l’aumento degli incendi nella foresta pluviale amazzonica mostra come il Brasile si stia muovendo nella direzione opposta ai suoi obiettivi di cambiamento climatico, che includono zero deforestazione illegale entro il 2030;
– negli ultimi 50 anni la Bolivia ha perso circa il 50% della superficie glaciale, e si avverte che entro il 2030 il 27% del territorio potrebbe essere interessato da una siccità persistente, mentre un altro 24% da ricorrenti inondazioni;
– il Cile soffre frequentemente di numerosi disastri naturali come terremoti, inondazioni e incendi; secondo la Direzione meteorologica cilena, solo tra il 2016 e il 2017 sono stati consumati dal fuoco circa 576.000 ettari;
– il Messico emette l’1,4% delle emissioni globali di gas serra ed è al 13° posto tra le nazioni che ne emettono di più sul pianeta; il maggior contributo di questi gas proviene dal settore energetico a causa del consumo di combustibili fossili e delle attività agricole, secondo l’Istituto nazionale di ecologia e cambiamento climatico. Per vero, il Messico è chiamato ad affrontare anche altre sfide ambientali, come scarsità d’acqua, deforestazione, degrado dell’aria e del suolo, e declino della biodiversità.
Le comunità dell’America centrale hanno sopportato il peso di un’emergenza climatica; anni consecutivi di siccità e condizioni meteorologiche irregolari hanno interrotto la produzione di alimenti come mais e fagioli che dipendono da piogge regolari. Il Programma Alimentare Mondiale (WFP), ha registrato che più di otto milioni di persone in El Salvador, Guatemala, Honduras e Nicaragua soffrono la fame.
Le tempeste tropicali originate sia nell’Atlantico che nel Pacifico hanno devastato alcune aree del Messico, dell’America centrale e dei Caraibi. Oltre ai danni provocati dalle tempeste nelle zone costiere, le piogge torrenziali nell’entroterra hanno causato ulteriori danni.
Il WFP afferma che 1,7 milioni di centroamericani chiedono aiuti alimentari a causa della distruzione di 200.000 ettari di generi alimentari di base e più di 10.000 ettari di coltivazioni di caffè in Honduras e Nicaragua. Una delle priorità delle regioni è crescere in resilienza e capacità di adattamento della società, nonché esplorare le sinergie esistenti tra i processi di adattamento e altri obiettivi di sviluppo.
Proteggere le foreste è una priorità per proteggere il pianeta, perché fornisce il filtraggio e lo stoccaggio di acqua dolce che garantisce la fertilità dei suoli che ‘regola il clima’, e che è essenziale per l’economia e per le persone di tutto il mondo.
Infine, è necessaria una transizione agroecologica fatta di soluzioni naturali, puntando su agricoltura, silvicoltura e pesca.
Da ultimo è opportuno rilevare che, dopo la storica intesa del G7 sul clima, ora si è di fronte a un altro bivio cruciale prima della Cop26 di novembre a Glasgow: il G20 ministeriale svoltosi pochi giorni fa a Napoli, con il dovere e la responsabilità di agire con più forza e decisione perché in gioco c’è la sopravvivenza del Pianeta.
Un gruppo di ONG ambientaliste di vari Paesi europei ha, a tal proposito, scritto una lettera aperta ai rappresentanti del G20, in occasione del vertice dei ministri dell’Ambiente a Napoli, per chiedere «un pacchetto post-pandemico che affronti di petto l’emergenza climatica».
Sulle scelte per il cambiamento climatico, il 2021 rappresenterà dunque un momento cruciale: dall’1 al 12 novembre a Glasgow si svolgerà la 26 Conferenza delle Parti (COP26) della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sul Cambiamento Climatico (UNFCCC), dove si ritornerà a parlare degli obiettivi dell’Accordo di Parigi.
In concreto, sarà fondamentale partire dal basso, cambiando il modello urbanistico e il paradigma di produzione agricola.
Serve riuscire a trasformare la crisi in opportunità, anche grazie al miglior utilizzo delle risorse del Recovery found messe a disposizione per incentivare l’efficientamento energetico delle abitazioni attraverso la misura del 110% e il ricorso a fonti rinnovabili; e verso investimenti infrastrutturali (per serbatoi, nuovi approvvigionamenti, riutilizzo delle acque reflue, riduzione delle dispersioni e interconnessioni tra acquedotti, riammodernamento e manutenzione della rete idrica) in risposta al grave fenomeno della desertificazione.
Fondamentali anche interventi di maggiore decisione nel settore dei trasporti, con introduzione di importanti incentivi finanziari e fiscali per rinnovare il parco mezzi commerciali in circolazione e con una politica alternativa al trasporto su gomma, di potenziamento del trasporto via rotaie e creazione di hub di interscambio sul territorio per ridurre l’impatto del passaggio dei mezzi più grandi e più inquinanti, e con diffusione di mezzi leggeri ed elettrici o a idrogeno.
Fonti:
“Relazione dello stato dell’ambiente 2020” a cura del Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare, consultabile sul sito www.minambiente.it;
“Lo stato dell’Ambiente in Europa nel rapporto dell’Agenzia Europea per l’Ambiente 2020” in Nota n.53 redatta a cura dell’AEA;
“The European environment – State and outlook 2020”, Knowledge for transition to a sustainable Europe, by European Environment Agency, Luxembourg: Publications office of the European Union, 2019;
https://www.art-er.it/2021/05/life-2021-2027-programma-per-progetti-su-ambiente-e-azione-per-il-clima/;
https://climate.nasa.gov/evidencia/;
https://mundosur.org/la-emergencia-del-cambio-climatico-en-america-latina-y-el-caribe/.