LA QUALITÀ DELLE INFRASTRUTTURE PASSA DA MERITO E LEGALITÀ
Dal problema alla soluzione
Che merito e legalità siano requisiti essenziali per la realizzazione di infrastrutture di qualità è fato noto. Lo si ribadisce di continuo, per quanto si sappia anche che ripristinare livelli di assoluta legalità non basta a raddrizzare ogni stortura.
Più utile, per dare concretezza al concetto, è provare a capire come migliorare le cose.
In tanti puntano esclusivamente sullo snellimento delle procedure.
C’è chi prospetta, quale panacea di tutti i mali, l’opportunità di dare vigore permanente al ‘decreto Genova’ del 28 settembre 2018, approvato in gran fretta, esattamente un mese e quattordici giorni dopo la nota tragedia (e poi modificato con la l. conv. 16 novembre 2018, n. 130), per velocizzare la costruzione nel ‘nuovo Ponte Morandi’, il ‘Genova San Giorgio’ inaugurato il 3 agosto 2021.
Il provvedimento è stato utile, è vero, per dar celerità alle operazioni, ma non può dirsi ottimale in termini di trasparenza e controllo, con un solo commissario straordinario che praticamente, fatte salve le norme sull’antimafia, può agire in deroga.
Come sempre, ‘in medio stat virtus’.
L’urgenza degli interventi è diffusamente avvertita, ma, allo stesso tempo, è essenziale anche mantenere inalterata la catena dei controlli. Tempi stretti di realizzazione e qualità dell’opera spesso non sono un binomio perfetto.
La verità è che, per verso, se si vuole costruire più rapidamente, occorre alleggerire le procedure; per l’altro, i controlli necessari portano a inevitabili rallentamenti.
Senza contare l’attenzione che va riservata al tema della sicurezza sul lavoro. Pochi sanno che l’A1, l’autostrada del Sole, quella che collega Milano e Napoli, fu costruita in soli otto anni, ma pure si ignora che la realizzazione dell’opera costò 160 vite umane. 160 morti sul lavoro. All’epoca c’era minore sensibilità sul tema, ma resta importantissimo.
Non si possono trascurare alcune pericolose storture normative.
Si pensi all’abuso d’ufficio, sanzionato dall’art. 323 c.p. «con la reclusione da uno a quattro anni». Il rischio di essere indagati per il reato di abuso di ufficio determina spesso quella condotta definita come «amministrazione difensiva», il comportamento del pubblico funzionario che, preoccupato di incorrere in ricorsi, denunce penali e responsabilità erariale a suo carico, non adotta alcun provvedimento oppure lo adotta ma non sulla base dell’interesse pubblico che dovrebbe perseguire bensì sulla base di una scelta del provvedimento meno rischioso per la sua responsabilità personale. Per evitare i già gravissimi ritardi, è necessario ripensare l’abuso di ufficio restringendone il campo di applicazione alle sole fattispecie che effettivamente comportano un pericolo per il buon andamento della pubblica amministrazione.
Quali le soluzioni?
Che le procedure vadano riviste e snellite è certo.
Che serva un ritorno alla competenza anche.
Intensificare il sistema dei controlli, con organizzazione fin da prima dell’avvio dei lavori, garantendo la certezza dei tempi, è un altro tassello del puzzle.Saper assicurare rigore alla durata dei lavori, anche nel caso di sopravvenienze, è essenziale.
Perché tutto, come ripensato, funzioni, però, serve anche altro. Serve congegnare strumenti a presidio della legalità.
La severità delle pene per le responsabilità, negligenze e fenomeni corruttivi può essere utile deterrente e sollecitare trasparenza e onestà, ma certamente non mancano leggi in tal senso.
Il punto non è questo. La minaccia di gravi sanzioni non è stata di particolare aiuto finora.
Diversi sono stati gli interventi già posti in essere per arginare il fenomeno della corruzione nel settore degli appalti pubblici. Basti pensare alla l. n. 190 del 2012, che ha migliorato le misure di prevenzione e favorito la promozione di una cultura della legalità e dell’etica pubblica nelle amministrazioni centrali e locali; o, ancora, all’approvazione del Piano nazionale anticorruzione e dei relativi piani locali triennali anticorruzione; all’istituto dell’accesso civico introdotto con d.lg. n. 33 del 2013 al fine di garantire accesso e trasparenza all’azione amministrativa.
Utile potrebbe essere, al fine di garantire più adeguati livelli di legalità e quindi di qualità, ad esempio
– sul piano della prevenzione, introdurre più penetranti regole di incompatibilità e di inconferibilità, per evitare l’affidamento di incarichi dirigenziali, o di responsabilità in enti pubblici o in controllo pubblico, a chi abbia ricoperto incarichi di tipo politico locale;
– introdurre obblighi di pubblicità rafforzati in merito agli atti della procedura di gara, dalla pubblicazione del bando sino all’aggiudicazione ed anche in relazione alla fase esecutiva del rapporto;
– affidare il monitoraggio e la vigilanza su stato di esecuzione dell’appalto, stato di avanzamento dei lavori ed eventuali varianti in corso d’opera ad Autorità nazionale e non soltanto al Responsabile unico del procedimento.
[V. già “Appalti pubblici e fenomeni correttivi“, in www.meritocrazia.eu]