La riforma del processo penale e tributario

La riforma del processo penale e tributario

Per fare il punto

Il sistema sanzionatorio penal-tributario ha subito nel tempo numerose modifiche, con riforme volte principalmente all’adeguamento alla normativa di derivazione europea, nonché a contrastare i fenomeni evasivi imponenti.

L’intervento maggiormente significativo è dato, da ultimo, dalla l. n. 111 del 9 agosto 2023 (Delega al Governo per la riforma fiscale).
All’art. 20 sono stati delineati i principi quadro e i criteri direttivi per la revisione del sistema sanzionatorio tributario, amministrativo e penale. Si è così dato il via a quell’iter tecnico-politico approdato nell’emanazione del decreto attuativo dei principi enunciati.

Tra gli obiettivi principali vi sono la razionalizzazione e il coordinamento del rapporto tra sanzioni amministrative e penali, attraverso una maggiore integrazione tra i diversi tipi di sanzione, adeguando i profili processuali e sostanziali connessi alle ipotesi di non punibilità e di attenuanti all’effettiva durata dei piani di estinzione dei debiti tributari, anche nella fase antecedente all’esercizio dell’azione penale; e prevedendo un regime premiale sul piano delle sanzioni per le imprese che adottino un adeguato sistema di rilevazione, misurazione, gestione e controllo del rischio fiscale.
Ciò soprattutto al fine di evitare che nel sistema del c.d. “doppio binario” processuale (di cui al d.lg. n. 74 del 2000 e ss.mm.ii.), vi siano frequenti contestazioni della violazione del ne bis in idem, con particolare riguardo ai casi di omesso versamento di imposte.

Invero, la bozza di decreto attuativo costituisce il rapporto «assoluzione del contribuente – effetti nel processo tributario»; prescrive l’obbligo del giudice tributario di tener conto della sentenza penale irrevocabile intervenuta nei confronti del contribuente imputato e per quei fatti materiali identici a quelli oggetto di valutazione nel processo tributario (identità soggettiva ed oggettiva della contestazione), sulla scorta del principio ne bis in idem. Inoltre la sentenza penale irrevocabile può essere depositata anche nel giudizio di Cassazione con memoria illustrativa. La Corte di Cassazione assegna al p.m. un termine non superiore a sessanta giorni dalla comunicazione per il deposito di osservazioni. Trascorso tale termine, se non accoglie le os-servazioni, decide la causa conformandosi alla sentenza penale qualora non siano necessari ulteriori accertamenti di fatto. Queste previsioni si applicano, limitatamente alle ipotesi di sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste, anche nei confronti della persona fisica nell’interesse della quale ha agito il dipendente, il rappresentante legale o negoziale, ovvero nei confronti dell’ente e società, con o senza personalità giuridica, nell’interesse dei quali ha agito il rappresentante o l’amministratore anche di fatto, nonché nei confronti dei loro soci o associati.

Si apre a una significativa limitazione sul piano concreto dell’autonomia del giudizio tributario rispetto a quello penale (in termini positivi o negativi che la si voglia intendere); ancorché fatta salva l’indipendenza dei due processi sui rispettivi binari, nella “volatile” convinzione di poter percorrerli parallelamente.

Analizzando la disciplina, è compiuta una doppia distinzione:
– in base alla formula terminativa della sentenza,
– in virtù del rito percorso.
Si prevede, infatti, che, nei casi di sentenza irrevocabile di assoluzione «perché il fatto non sussiste» o «l’imputato non lo ha commesso», i fatti materiali accertati in sede dibattimentale facciano stato nel processo tributario quanto all’accertamento dei fatti medesimi.

Orbene, ove il contribuente/imputato venga assolto «perché il fatto non sussiste» o «perché non ha commesso il fatto», i fatti materiali accertati in sede dibattimentale faranno stato nel processo tributario quanto all’accertamento dei fatti medesimi; laddove il giudice penale abbia sentenziato in tali formule che, ad esempio, la frode Iva non sussiste, il giudice tributario è tenuto a recepire la sentenza accogliendo il ricorso.

Sintetizzando.
La sentenza penale irrevocabile di assoluzione con le citate formule ha efficacia di giudicato «in ogni stato e grado» del pro-cesso tributario, a patto che sia stata pronunciata a seguito del dibattimento e non anche in caso di giudizio abbreviato (ipotesi quest’ultima non contemplata nella bozza). Differenti formule assolutorie non hanno rilevanza del processo tributario, in quanto non in grado di escludere i fatti fiscalmente rilevanti.
Volendo fare un esempio inverso, la sentenza penale assolutoria del tipo «perché il fatto non costituisce reato» (utilizzata se difetta il dolo specifico di evasione o non si ritiene superata la soglia di punibilità), avendo comportato al contempo sia un accertamento sull’esistenza del fatto, sia che l’imputato lo abbia commesso, pur non costituendo un illecito penale, è idonea a conservare rilevanza tributaria.

La conseguenza è l’adeguamento dei profili processuali e sostanziali connessi alle ipotesi di non punibilità e di applicazione di circostanze attenuanti all’effettiva durata dei piani di estinzione dei debiti tributari, anche nella fase antecedente all’esercizio dell’azione penale.
In questa logica, solo l’assoluzione definitiva in seguito al dibattimento con formula «perché il fatto non sussiste» è potenzialmente in grado di giovare a una più ampia platea di soggetti coinvolti, ossia alla persona fisica imputata ed al contribuente nel cui interesse si è agito (sia questi persona fisica o ente).
Sotto un aspetto più puramente procedurale, poi, rileva il fatto che detto ‘vincolo’ per il giudizio tributario si determina anche se l’erario non si era costituito parte civile nel processo penale, conclusosi con sentenza assolutoria.

Per una seconda parte, invece, con riferimento alle sole sanzioni penali, la bozza in esame prescrive testualmente: «Le sentenze rese nel processo tributario, divenute irrevocabili, e gli atti di definitivo accertamento delle imposte in sede amministrativa, anche a seguito di adesione, aventi a oggetto violazioni derivanti dai medesimi fatti per cui è stata esercitata l’azione penale, possono essere acquisiti nel processo penale ai fini della prova del fatto in essi accertato».

È disposto quindi un certo rilievo da attribuirsi alle definizioni raggiunte in sede amministrativa e giudiziaria ai fini della valutazione della rilevanza penale del fatto.
Ciò, da un punto di vista critico, potrebbe essere foriero di un superamento dei limiti della legge delega sopracitata, in quanto la stessa non vincola il giudice penale alla prova dei fatti accertati con sentenze passate in giudicato nel processo tributario, né prescrive che le sentenze rese nei giudizi tributari e divenute irrevocabili assumano efficacia probatoria nel processo penale (si pensi ai tempi ristretti di definizione del processo tributario rispetto a quello penale, per cui quest’ultimo sarebbe quasi sempre condizionato dalle sentenze irrevocabili fiscali).

L’art. 21 ter della bozza prescrive poi l’obbligo per il giudice o per l’autorità amministrativa intervenuto per secondo di tener conto delle pregresse sanzioni irrogate con provvedimento o sentenza assunti in via definitiva. Viene così recepita nel sistema sanzionatorio una correzione volta a render meno gravoso il sommarsi di due trattamenti sanzionatori.
In particolare, è prescritto testualmente: «Quando, per lo stesso fatto è stata applicata, a carico del soggetto, una sanzione penale ovvero una sanzione amministrativa o una sanzione amministrativa dipendente da reato, il giudice o l’autorità amministrativa, al momento della determinazione delle sanzioni di propria competenza e al fine di ridurne la relativa misura, tiene conto di quelle già irrogate con provvedimento o con sentenza assunti in via definitiva».

In sostanza, al momento della determinazione delle sanzioni di propria competenza e al fine di ridurne la relativa misura, si dovranno ‘ponderare’ quelle già irrogate con provvedimento o con sentenza assunti in via definitiva. Se invece è il giudizio penale a seguire il provvedimento applicativo di sanzione da parte dell’autorità amministrativa, emerge una problematica, in quanto la riduzione tenderà ad incidere su una pena ragionevolmente detentiva e, quindi, fungerà da attenuante sui generis dal contenuto incerto.

La bozza non contempla l’ipotesi di sentenze applicative di pena emesse a seguito di patteggiamento.
Le stesse, non essendo equiparabili a condanne, in linea a quanto già disposto ai sensi dell’art. 445, comma 1 bis, c.p.p., non hanno efficacia e non possono essere utilizzate a fini di prova nei giudizi civili, disciplinari, tributari o amministrativi, compreso il giudizio per l’accertamento della responsabilità contabile.
Diverso è il caso dell’eventuale assoluzione «perché il fatto non sussiste» pronunciata a seguito di giudizio abbreviato, che seppur non precisata dall’art. 21 bis della bozza di decreto legislativo in esame, potrebbe ispirarsi all’art. 652, comma 2, c.p.p. che valorizza anche la sentenza assolutoria resa nel giudizio abbreviato.

Per concludere, sembra si stiano muovendo finalmente alcuni passi verso una armonizzazione del sistema sanzionatorio complessivamente inteso, cercando di recepire (seppur in fase embrionale) al contempo l’orientamento della giurisprudenza CEDU e unionale.



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