La strategia per la riduzione delle emissioni industriali parta da dati reali

La strategia per la riduzione delle emissioni industriali parta da dati reali

Il caso degli allevamenti italiani

Pare che la strategia europea per la riduzione delle emissioni industriali di gas serra penalizzi tre volte più del previsto gli allevamenti di suini e quasi quattro volte di più gli allevamenti di pollame, rispetto ai dati ufficiali a disposizione, ormai risalenti al 2016.

Un documento della Commissione europea, non ancora pubblicato, esibito dal servizio Ambiente della Commissione europea (DG ENV) al gruppo di lavoro sull’ambiente del Consiglio Ue del 30 gennaio, mostrerebbe una certa panoramica sullo stato di avanzamento della proposta di direttiva sulle emissioni industriali (IED).
È certo che l’obiettivo sia la riduzione delle emissioni nocive provenienti dagli impianti industriali, ampliandone il campo di applicazione, con l’inclusione di alcuni dei più grandi allevamenti di bestiame dell’UE. Le aziende agricole sarebbero definite “industriali”, e pertanto penalizzate da un provvedimento normativo costruito sui risultati di una indagine non più attuale su dimensioni e numero di aziende agricole nell’UE, utilizzata dalla Commissione, per raggiungere la soglia di 150 UBA.

Le stime dell’impatto sulla cifra proposta si attestano al 18% degli allevamenti di suini, al 15% degli allevamenti di pollame e al 10% degli allevamenti di bovini, per una media complessiva dell’UE del 13% della produzione di bestiame.
Se si fa invece riferimento ai dati più recenti del 2020, la percentuale di allevamenti interessati salirebbe addirittura al 61% per i suini e al 58% per gli allevamenti di pollame. I bovini, invece, aumentano solo del 2,5% al 12,5%.

La bozza delle nuove regole coinvolge, insomma, moltissimi allevamenti di bovini italiani di piccole e medie dimensioni, con aggravio di adempimenti burocratici a partire da allevamenti di 150 capi.
I principi per le autorizzazioni e il controllo delle emissioni equiparano le stalle ai grandi impianti industriali, mentre la normativa attualmente in vigore, varata nel 2010, riguarda gli allevamenti di maggiore dimensione, con una presenza di oltre 2.000 suini o più di 40.000 polli, includendo nell’ambito di applicazione anche gli allevamenti bovini, finora esclusi.

Le associazioni di categoria muovono le proprie rimostranze, nel timore, fondato, che la proposta dell’Unione appesantisca ulteriormente il carico burocratico sugli allevamenti italiani, già in difficoltà per l’aumento dei costi dei mangimi e dell’energia.
Saranno interessate circa 185.000 aziende nei 27 Paesi dell’Unione (pari 13%). L’allevamento rappresenta il 40% dell’intero comparto agroalimentare europeo, per un valore di circa 170 miliardi di euro, e impiega, altresì, direttamente più di 4 milioni di persone.

Per vero, la Direttiva rappresenterebbe un passaggio necessario nella lotta contro gli inquinanti di origine industriale come ossidi di zolfo, ossidi di azoto, ammonio, particolato, metano, mercurio e altri metalli pesanti. La Commissione in una nota, stima i costi in miliardi di euro e centinaia di migliaia di morti premature ogni anno, danni anche per ecosistemi, colture e ambiente. Secondo le previsioni di Bruxelles, questa Direttiva dovrebbe comportare benefici per la salute dal valore di 7,3 miliardi di euro all’anno.
Se le nuove regole saranno approvate, gli Stati membri dovranno utilizzare nuovi valori limite di emissione, molto più severi nel rinnovo dei permessi, o stabilire nuove condizioni di autorizzazione. Per il settore dell’allevamento, i requisiti BAT dovranno tenere in considerazione natura, dimensioni, densità e complessità delle aziende, con specificità dei sistemi di allevamento e la gamma di impatti ambientali che possono avere.

È certo che, condivisibili gli intenti, la proposta della Commissione europea penalizzi però oltre ragione e ragionevolezza migliaia di allevamenti italiani che si trovano già in una situazione drammatica per l’aumento dei costi di mangimi ed energia provocati dalla guerra ancora in corso.

Atteso che si tratta di una decisione che colpisce direttamente allevatori e consumatori in Italia, è necessario che i responsabili delle Istituzioni nazionali ed europee, nei prossimi step dell’iter legislativo in Parlamento e in Consiglio Ue, procedano a una revisione della proposta da parte della Commissione, oppure provvedano alla istituzione di un fondo a sostegno delle piccole e medie imprese, che corrono il serio rischio di chiudere, con relativa perdita di posti di lavoro e un calo dell’economia complessiva nazionale.



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