L’‘ARCHEOLOGIA DEL NONNO’
La vera Memoria
Spesso, quando si pensa agli studi archeologici, l’immaginazione va a scavi e antiche macerie.
In realtà, l’archeologia riguarda anche eventi temporalmente molto più vicini nel tempo.
Di grande interesse è, ad esempio, l’archeologia della Grande Guerra.
La ricerca, lo scavo e l’analisi della struttura di trincee e campi di battaglia della prima guerra mondiale possono raccontare storie e svelare segrete grandi e piccoli di quei soldati che erano o avrebbero potuto essere i nostri nonni, e che non hanno potuto trasmettere a voce la propria esperienza. Di insegnamento per tutti.
Spesso sono proprio gli scavi archeologici che consentono, attraverso il racconto narrato da luoghi e oggetti recuperati, di dare una storia ai caduti, ai reparti e alle genti che hanno vissuto la guerra. Non di rado, permettono di integrare o mettere in discussione la verità scritta delle fonti ufficiali o della memorialistica, riferendo di episodi accaduti in modo molto diverso da come erano stati descritti o ricordati in lettere o diari e restituendo talora onore e dignità allo sforzo di caduti oggi dimenticati.
Eppure all’archeologia di guerra non è oggi riconosciuta la dignità che merita, surclassata dalla c.d. archeologia antica. L’archeologia del nonno è, invece, importantissima per garantire una piena conoscenza della Storia.
Spesso si pensa che in Italia ci sia troppa storia passata per dedicarsi a quella presente, ma, come afferma Franco Nicolis, direttore dei beni archeologici della provincia autonoma di Trento (che, con Nicola Cappellozza, ha scavato l’area di uno scontro avvenuto nel luglio del 1916 nei pressi del Valico del Menderle, nei pressi del Corno Battisti, in cui sono caduti tre soldati italiani), «dobbiamo farlo, specie per quelle epoche di cui si sta perdendo la memoria diretta. Prima fra tutte la Grande Guerra».
Proprio per questa ragione, è molto importante curare un adeguato dialogo con i cittadini e le comunità locali, teso a superare la logica della ‘caccia ai cimeli’, l’uso indiscriminato del metal detector o il disinteresse che sfocia nell’oblio per luoghi ricchi di storia.
L’auspicio è che la Cultura del rispetto torni a essere coltivata, e che porti raccoglitori e ricercatori ad agire nella consapevolezza che un cimelio non può essere considerato ‘di chi lo trova’, ma è patrimonio alla Comunità e, con essa, deve essere condiviso, esattamente come un qualsiasi altro bene archeologico.
In questa ottica si apprezzano tutti i provvedimenti, come la recente riforma del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, tesi a garantire la miglior tutela al patrimonio storico e archeologico, in attuazione dell’art. 9 cost.
Si apprezzano tutte le iniziative avviate presso le scuole, le associazioni e i gruppi di appassionati finalizzate alla diffusione di una sempre maggiore consapevolezza dei gravissimi danni che possono essere cagionati alla ricostruzione storica dei fatti attraverso la manomissione, spesso involontaria e in buona fede, di manufatti o cimeli rinvenuti casualmente o a seguito di ricerca mediante metal detector.
Non ultimo, occorre garantire maggior supporto, anche economico, a tutti quegli archeologi che si occupano di ricercare e ricostruire eventi vicini e che, in più di un’occasione, hanno consentito di dare un nome e un cognome alla salma di un caduto e di restituirlo ai familiari o di concedergli una giusta e degna sepoltura.
FONTI
L’archeologia della Grande Guerra: ricostruzione di storie senza Storia – Archeostorie Magazine
Le trincee dimenticate sul Garda: conflict archaeology e archeologia pubblica alleate per salvarle – Archaeoreporter
Archeologia e Grande Guerra, restituire brani di vita alle storie scomparse di soldati. Oltre la caccia ai “cimeli” – Archaeoreporter