L’arte della comunicazione

L’arte della comunicazione

Comunicare è un’arte difficile. Per tutti.
A volte ci si ritrova a discutere, senza capirsi davvero, su concetti banali, e riuscire a trovare un’intesa, un sentire comune sulle cose, è missione impossibile.

In questi giorni mi sono imbattuto in un articolo pubblicato su The Guardian sui capolavori letterari italiani di ogni tempo, quelli che meritano di essere letti e che segnano la nostra identità culturale, la nostra storia. In una prima breve classifica, troviamo sicuramente la Divina Commedia, il Decamerone, il Turno, una novella quasi sconosciuta di Luigi Pirandello sul rapporto conflittuale tra uomo e donna, e i Promessi Sposi di Manzoni.
A che serve un catalogo così?
Forse bisogna anzitutto concentrarsi sul fatto che un catalogo così può essere fatto, e che il percorso evolutivo del nostro popolo è caratterizzato da tantissima letteratura.
E poi vale chiedersi piuttosto come faccia un Paese con tali basi culturali e con tale testimonianza di studio, sensibilità e contaminazioni di civiltà diverse, a parlare ancora di divisioni tra nord e sud e a spendere energie in battaglie inutili, senza prospettiva, fintamente inseguendo obiettivi ideologici.

Va sbiadendo quella cifra identitaria che ci porterebbe a sentirci più uniti sotto la stessa bandiera, sia pure con pensieri differenti, e a imparare a dialogare. Quindi a superare motivi di attrito e delusione, contrasti, rancori.

Quello che manca è la propensione all’ascolto. Oggi basta poco per rinunciare al confronto e abbandonare percorsi comuni, perché ci si arrocca sulle proprie posizioni, senza disponibilità a comprendere quelle altrui.
Le divisioni sono sempre esistite. Tra ricchi e poveri, tra credenti e non credenti, tra destra e sinistra. Contraddizioni largamente oggetto di indagine e valutazione, delle quali ci lamentiamo a parole e che poi accettiamo passivamente nei fatti.

Per ritornare al dialogo, servirebbe anzitutto umiltà. Smettere di credere di aver ragione e di sapere tutto. Mettersi in discussione e chiedersi se si è capaci di fare di più o di agire diversamente, per apprezzare anche gli sforzi e i sacrifici altrui.
È la missione di Meritocrazia Italia, che in questo si sente davvero differente. Perché non ha alla base l’ambizione di distribuire incarichi di potere, ma è mossa soltanto dal desiderio di contribuire alla costruzione di una società migliore.
È davvero triste veder tradire l’impegno culturale dei grandi del passato. Assistere alla continua lacerazione della nostra tradizione letteraria e artistica, che dà il senso di quella capacità di stare insieme nelle diversità che è il motore del progresso delle Civiltà.

Puntiamo di più sulla comunicazione, sulla forza del fare rete, per tornare a essere orgogliosi della nostra azione. Senza remore. Senza facili rese. Quando ci capita di non essere d’accordo con qualcuno su qualcosa, cerchiamo di non amplificare le divergenze, ma di aprire la mente alle idee diverse, per pesarne lucidamente i profili di condivisibilità.
Meritocrazia è un progetto assolutamente inclusivo. Chiede coesione sociale facendosi esempio virtuoso di unione.
Soltanto così l’Italia può riemergere e tornare ad avere voce in un mondo alla deriva, che ha rotto ogni equilibrio, tra guerre, carestie e attacchi irresponsabili all’ambiente. Ma per questo occorre vera unità, gioco di squadra, non individualismo.
Con pazienza, si possono raggiungere anche i traguardi più ambiziosi, anche quello di ripulire la comunità dalle tossicità che la infettano e che portano a dismettere speranze e responsabilità.



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