L’ECONOMIA DELLA COESIONE

L’ECONOMIA DELLA COESIONE

Il rovescio della medaglia

La coesione sociale ha a che vedere con l’inclusione e con tutto ciò che è utile a promuovere l’assunzione collettiva di responsabilità. È la capacità di agire in modo solidale per il superamento delle disuguaglianze, rendendo le diversità fonte di arricchimento reciproco più che fattore di conflitto.

La Fondazione Bertelsmann, misurando e confrontato la coesione sociale in 34 Paesi, 27 dei quali membri dell’Unione europea, ha rilevato che una società coesa è caratterizzata:
a) da forti relazioni, cioè da reti orizzontali che esistono tra gli individui e i gruppi all’interno della società;
b) da connessioni, intese come legami positivi tra i singoli, il loro Paese e le sue istituzioni;
c) dalla messa a fuoco del bene comune, vale a dire azioni e attitudini dei membri della società che dimostrano la responsabilità verso gli altri e per la comunità nel suo insieme.

Ciascuna voce è a sua volta articolata in tre dimensioni:
1) la sfera delle relazioni, che si articola in reti sociali, fiducia nel prossimo e accettazione della diversità;
2) la sfera delle connessioni, che si articola nell’identificazione col Paese d’appartenenza, nella fiducia assegnata alle istituzioni politiche e sociali, nella percezione dell’equità distributiva, cioè di quanto sia equa la distribuzione della ricchezza tra i membri della società;
3) la sfera del bene comune, che si articola nella solidarietà e nell’aiuto reciproco, nel rispetto delle regole sociali, nella partecipazione alla vita sociale e politica e alla discussione pubblica.

La crescita economica dagli anni ’90 ha portato a un notevole sviluppo dal punto di vista quantitativo, ma è anche alla base di evidenti storture sul versante sociale e umano, di disuguaglianze, solitudine e disagio.
Negli ultimi due anni, poi, l’evento pandemico ha bloccato il sistema economico globale, inducendo una grave recessione che fortunatamente oggi possiamo considerare superata, anche se permane un’alta incertezza in alcuni settori e territori.

Nel nuovo scenario, l’obiettivo primario da perseguire è sicuramente quello di un nuovo benessere collettivo.
Il tradizionale modello, che colloca la generazione di ricchezza all’interno del mercato e l’equità e la coesione sociale all’interno della sfera statale, costituisce un freno allo sviluppo.
È necessario emanciparsi da schemi di produzione del valore che contemplano una logica verticale secondo la quale i soggetti for profit generano valore economico, i soggetti della società civile producono beni relazionali e le istituzioni pubbliche creano beni pubblici. Lo scenario economico e sociale in mutamento mette in crisi questi sistemi classici e pone in luce in misura crescente l’importanza di individuare modelli socio-economici in grado di affrontare l’emergenza in termini di deficit di coesione sociale, problema che anche l’Italia è chiamata a risolvere.

L’ultimo periodo insegna che non esistono più soltanto rischi individuali, ma esistono malesseri collettivi. Calamità, incidenti, crisi, blackout possono colpire le società contemporanee, creando gravi emergenze e compromettendo le sinergie. Per questo si deve rivalutare la questione dell’inclusione sociale nel senso di costruire società resilienti, al fine di essere preparati, da un lato, ad affrontare in modo efficiente gli shock attesi; e, dall’altro, per evitare i rischi che possono mettere a repentaglio i benefici della crescita e accentuare la sofferenza sociale.

È necessario affiancare al sostegno monetario il rafforzamento delle competenze delle persone e della qualità delle relazioni sociali che troppo spesso vengono minate nelle società tecnologicamente avanzate.

La perdita di competenze in termini di saper fare e pensare conduce la popolazione a un impoverimento progressivo.

Occorre un serio cambio di rotta.

Le capacità personali e la qualità delle relazioni sociali/istituzionali fanno la differenza e devono essere la leva del miglioramento della società contemporanea.
L’integrazione sociale deve essere un collante per politiche educative e familiari, politiche attive del lavoro e riorganizzazione sanitaria a livello locale ammortizzatori sociali e riabilitazione fisica e psicologica delle persone, politiche ambientali e investimenti in strutture sportive e culturali.
Il tutto nel quadro di una migliore integrazione tra politiche nazionali e territoriali.

Alla domanda, quindi, se l’integrazione sociale favorisce la crescita economica, non si può che rispondere affermando che il lato umano e sociale è fondamentale per raggiungere la prosperità economica e per questo l’integrazione dell’inclusione sociale e delle politiche di crescita economica deve essere più esplicita.
È infatti impossibile raggiungere un livello accettabile di integrazione sociale all’interno di un singolo Paese senza definire politiche internazionali in materia di flussi migratori, dumping sociale, cambiamento climatico, tassazione delle multinazionali, regolamenti finanziari, ecc.
Ciò concretamente significa che le questioni sociali devono diventare parte costitutiva dell’agenda globale: non può esistere un’economia del tutto indipendente dalla società.
È tempo di superare una concezione puramente passiva delle politiche sociali. La questione dei diritti – che sono calpestati in molti luoghi del mondo – resta fondamentale. Ma le politiche sociali sono sostenibili solo in una logica contributiva: un soggetto attivo e responsabile che contribuisce alla costruzione del bene comune è la base per un benessere sociale sostenibile. In fondo, è proprio questo il fondamento dell’inclusione sociale, come ricerca delle condizioni più favorevoli per rendere compatibile lo sviluppo personale con quello collettivo, nella tensione costitutiva tra le esigenze dell’organizzazione sociale, da un lato, e l’unicità della vita individuale, dall’altro.

Una cosa è certa: quando tutti gli attori collaborano migliora sensibilmente il livello di efficienza ed efficacia nel dare risposte adeguate ai bisogni.



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