Legge Dopo di Noi
Soluzioni ancora migliorabili
La l. n. 112 del 2016, nota come legge Dopo di Noi, si propone di garantire il benessere, l’inclusione sociale e l’autonomia delle persone affette da disAbilità gravi e, soprattutto, di proporre un piano per il supporto ai disAbili gravi dopo la perdita del sostegno dei genitori.
La legge si inserisce nel contesto giuridico avviato nel 1992 con la l. n. 104 che, per la prima volta, ha introdotto il concetto di ‘disAbile grave’, ovvero di soggetto che a causa di una minorazione, singola o plurima, abbia ridotto l’autonomia personale, correlata all’età, in modo da rendere necessario un intervento assistenziale permanente continuativo e globale.
Successivamente, con la l. n. 162 del 1998, presso Comuni, Regioni ed Enti Locali sono stati organizzati programmi di aiuto alle persone disAbili, ma solo con la l. n. 112 del 2016 è stato finalmente previsto un piano di aiuto per le persone private del sostegno familiare.
Per raggiungere gli obiettivi della protezione, della cura, dell’assistenza, della deistituzionalizzazione, dell’autonomia e dell’indipendenza delle persone disAbili, il legislatore ha previsto importanti strumenti pubblici e privati, con significativi sgravi fiscali.
Tra le misure, è disposta la creazione di un fondo per l’assistenza e il sostegno ai disAbili privi dell’aiuto della famiglia, compartecipato da Regioni, Enti Locali e associazioni del Terzo Settore. Esso può essere utilizzato per realizzare programmi e interventi innovativi a carattere residenziale, con l’obiettivo di diminuire l’assistenzialismo e di favorire l’indipendenza dei disabili.
Tra i progetti che potranno essere finanziati rientrano quelli di co-housing, ovvero programmi residenziali in abitazioni o gruppi che riproducono le condizioni abitative e relazionali della casa d’origine.
È prevista, tra le altre cose, la possibilità per le famiglie con persone in stato di grave disAbilità di utilizzare il trust come strumento di tutela del patrimonio dopo la morte dei genitori.
Si considerano anche i fondi costituiti per mezzo di contratti di affidamento fiduciario assoggettati a vincolo di destinazione anche a favore di organizzazioni non lucrative di utilità sociale che operano nel settore della beneficenza.
Con il trust, un soggetto affida una parte del suo patrimonio all’amministrazione del trustee, destinandolo alla tutela del disAbile nel lungo periodo, sapendo di non poterlo fare direttamente per sempre. Il trustee agisce dunque con una finalità specifica.
Per rendere tutto più sicuro, è obbligatorio indicare un custode (o guardiano) con il compito di verificare che l’operato del trustee rispetti il progetto iniziale. I beni inseriti nel trust non appartengono al trustee, che ne è solo l’amministratore, né al beneficiario. Per questo l’ISEE risulta più basso rispetto alla situazione in cui quegli stessi beni fossero di proprietà della persona con disAbilità.
La disciplina è complessa, specie nel caso di trust collettivo, che coinvolge diverse persone.
Ma, a sette anni dall’entrata in vigore della l. Dopo di Noi, qual è il bilancio?
Quali le riflessioni ancora da fare e le possibili proposte?
La normativa proponeva fin da subito una svolta decisiva, un cambio di paradigma culturale per la costruzione di un welfare di comunità, un welfare “dal basso”. Si passa da un’offerta abitativa di tipo “assistenziale” a un approccio di tipo capacitivo e inclusivo.
Sicuramente la normativa è servita a ‘dare una scossa’ e a sollecitare attenzione verso esigenze di maggiore inclusione, proponendo soluzioni di certa fattibilità. Tanto, però, c’è ancora da fare e le misure previste sono migliorabili.
Occorrerebbe, ad esempio,
– porre rimedio ai cronici ritardi regionali;
– uniformare le modalità attuative della legge a livello locale o almeno ridurre la disomogeneità oggi esistente;
– approfondire lo studio e la conoscenza del trust considerandolo un istituto che presenta molti punti di forza e di applicabilità rispetto ad altre soluzioni;
– allo scopo di avere risorse in più per garantire la continuità dei progetti, pensare di allargare la misura del Dopo di Moi a chi non è in condizioni gravi;
– fornire alle Regioni precise linee guida e griglie di monitoraggio per favorire i processi di co-progettazione;
– tracciare le buone pratiche messe in campo nei diversi territori per favorirne l’applicabilità anche altrove;
– monitorare in modo puntuale e sistematico il profilo dei beneficiari raggiunti per dettagli che riguardino la persona e il contesto di vita;
– focalizzare l’attenzione sul Progetto di Vita, introdotto con la l. n. 328 del 2000, che apre alla costruzione percorsi di autonomie possibili.