L’ESERCITO DELLE PARTITE IVA

L’ESERCITO DELLE PARTITE IVA

Le insidie del precariato per i lavoratori autonomi

Un tempo i lavoratori autonomi erano considerati dei privilegiati, perché percepivano compensi elevati. Non sembra essere più così. E non soltanto per le professioni intellettuali, ma anche per tutti i lavoratori autonomi in senso lato, dai piccoli imprenditori ai commercianti, dagli artigiani alle nuove professioni emergenti.

Il numero delle Partite Iva è cresciuto molto negli ultimi anni. L’Istat conta nel Paese più di 5 milioni di lavoratori autonomi, che corrisponde al 22% della forza lavoro, mentre la media europea si ferma al 14%.

Tale aumento, però, non dipende da un andamento economico positivo ma, come emerso nel recente periodo emergenziale, è dovuto alla necessità di creare nuove attività lavorative posto che le imprese non sono più in grado di garantire continuità occupazionale e retributiva.

Inoltre, l’introduzione di una flat tax per i lavoratori autonomi fino a 65.000 euro ha portato all’apertura in un solo anno di ben 545.700 nuove Partite iva, con una incidenza maggiore tra i giovani sotto i 35 anni, con elevata istruzione, non tutelati da nessun ordine professionale e che quindi occupano una posizione di forte vulnerabilità nel panorama sociale, rivestendo molti aspetti della subordinazione, come la scarsa autonomia o la dipendenza gerarchica ed economica, senza rientrare però nelle tutele riconosciute dalla legislazione sul lavoro subordinato.

L’emergenza sanitaria ha ulteriormente portato a galla tutta la fragilità del lavoro a Partita iva, professionale e no.

Tra le categorie di lavoratori che più sono state coinvolte, sono proprio i lavoratori autonomi, assimilabili ai lavoratori precari, spesso sottopagati, come quelli impiegati nel settore dello spettacolo, del turismo e del suo indotto, della ristorazione e dello sport. Liberi professionisti che non possono contare nemmeno su riserve di risparmio a causa dei redditi spesso sotto i livelli di povertà.

Ecco quindi, che si rende quanto mai necessario approfondire ogni sfaccettatura derivante dall’esercizio di queste professioni, dai vincoli alle tutele. Necessità resa più forte dalla particolare instabilità e dalla forte incertezza e soprattutto provvisorietà, con deficit di contrattazione per quel che concerne le protezioni sociali e l’impossibilità di trovare una dimensione professionale legittimata che consenta di accrescerne il riconoscimento ed il valore di mercato. Tanto più, come spesso accade, se lavorano per un solo richiedente. Proprio la forte dipendenza da quest’ultimo, unitamente al basso potere contrattuale, rappresenta uno degli elementi di maggior debolezza per i titolari di Partita Iva che, per non rischiare di perdere anche quanto faticosamente acquisito, sono scoraggiati dal cercare altri richiedenti. Tale meccanismo, protratto nel tempo, acuisce la posizione di precarietà, con progressivo mancato riconoscimento sociale del ruolo dei singoli, accompagnato da tutta una serie di difficoltà che va dalla impossibilità di accedere al credito fino all’incertezza di un futuro previdenziale. Inoltre, per i più giovani, è sempre più difficile il raggiungimento dell’indipendenza personale e familiare che si riflette nell’incapacità di programmare le proprie spese e necessità future.

Poiché per il futuro non si prevede un’inversione di tendenza, anche i sistemi di protezione sociale, realizzati intorno alla figura di un lavoratore stabile e a tempo pieno, dovranno subire forti cambiamenti se vorranno mantenere i livelli di coesione sociale raggiunti in passato.

Per tutte le caratteristiche sopra delineate e in considerazione del peso crescente che stanno assumendo questi lavoratori nel panorama economico italiano, si rende necessario mettere in atto azioni adeguate.

Occorre formulare proposte organiche e unitarie, favorendo il dialogo tra tutte le parti chiamate a guidare la ridefinizione delle politiche sociali, nell’ottica di garantire tutele minime per tutti, non solamente fiscali, e dare linfa a una categoria a forte rischio di esclusione sia economica che sociale.

S’impone la costruzione di un sistema pubblico universale in grado di migliorare le tutele previste dall’ordinamento riguardo alla malattia e alla degenza ospedaliera e introdurre una indennità straordinaria di continuità reddituale ed operativa in favore di quanti abbiano subito un calo significativo del proprio fatturato. Diverse potrebbero essere le fattispecie che dovrebbero dare diritto a tale indennità come un evento calamitoso oppure una produzione di reddito inferiore a una certa soglia (calcolata ad esempio in un arco di tre anni) rispetto alla crescita del settore di riferimento, individuato dal codice ATECO. Tale erogazione dovrebbe necessariamente avvenire al momento della domanda.

E’ poi imprescindibile l’adozione di forme innovative di welfare che possano sanare l’attuale sistema divenuto oramai anacronistico; forme di welfare basate su presupposti di equità sociale e finalizzate ad un riconoscimento adeguato della categoria. Logiche puramente (e fintamente) assistenzialistiche si mostrano inadeguate a garantire il dovuto livello di esistenza libera e dignitosa.

Di CLAUDIA FERRARI



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