Lo spostamento autostradale sia un diritto di tutti, non un lusso per pochi
Si accumulano, nelle ultime settimane, inflazione, caro bollette, carburante alle stelle, impennata dei prezzi delle materie prime e dei generi di prima necessità.
Tutto a parità di salario.
Allo scenario si aggiunge l’imminente aumento dei pedaggi autostradali.
Era stato annunciato nei mesi scorsi, ma restavano le speranze in un dietro front alimentate dalle rassicurazioni del Governo, che prometteva per il 2022 tariffe bloccate sul 98% delle autostrade italiane, ossia su quelle gestite dalle società per le quali è in corso l’aggiornamento o la revisione del rapporto concessorio (la quasi totalità). Qualsiasi variazione dei pedaggi avrebbe dovuto essere eventualmente applicata soltanto una volta ridefiniti i rapporti, e in aderenza al regime tariffario definito dall’Autorità di regolazione dei trasporti
Ora gli aumenti aggravano una situazione di forte difficoltà.
Tra scellerata politica dei prezzi del carburante e costi, già alti, dei pedaggi, viaggiare in autostrada diventa un lusso che non tutti possono permettersi.
Si aggiunge che il piano di adeguamento tariffario non prevede lo speculare miglioramento di un servizio non ottimale. Decenni di manutenzioni a risparmio, di cantieri sempre aperti, deviazioni e lunghe code rendono da sempre problematico viaggiare in sicurezza e in tempi prevedibili. Insomma, l’aumento dei prezzi si accompagna a una gestione inadeguata e sempre uguale a se stessa da anni.
A voler mantenere la memoria del passato, dal quale occorre imparare, si ricorda che, all’indomani del crollo del ponte Morandi, la holding che gestiva concessioni autostradali e aeroportuali perfezionò la cessione della propria quota di partecipazione in Autostrade per l’Italia, pari all’88,06% del capitale e dei diritti di voto, in favore del consorzio formato da Cdp Equity (Cassa depositi e prestiti, che ha rilevato il 51% della società), Blackstone Infrastructure Partners (per il 24,5%) e Macquarie Asset Management (per il 24,5%). La cessione all’epoca avvenne per un controvalore di 8.198,8 milioni di euro, e con essa lo Stato riprendeva il controllo maggioritario di infrastrutture pressoché in stato di degrado, che necessitavano e continuano a necessitare di investimenti cospicui.
Non si dimentica neppure che, a seguito della cessione, in capo alla holding restarono comunque gli oneri previsti per gli indennizzi, per le morti del crollo del ponte di Genova, e per gli investimenti previsti nel piano di ristrutturazione e ammodernamento della rete, oltre naturalmente ai costi sostenuti per la ricostruzione del ponte stesso. Di questi oneri (per più o meno 3 miliardi) solo la spesa di 580 milioni è stata effettivamente sostenuta per la ricostruzione del ponte, quando Autostrade ancora era di proprietà privata.
Ora non può non sorgere il dubbio che si stia tentando di far gravare il finanziamento del restante esclusivamente in capo ai viaggiatori.
Con diversi precedenti comunicati, Meritocrazia Italia chiedeva piuttosto esenzione o rimborso del pedaggio in caso di aumentati tempi di percorrenza o cambio di percorso obbligatorio, e invocava una programmazione degli interventi sistematica e non limitata alla contingenza, auspicando, oltre al taglio delle accise e a efficaci agevolazioni a favore delle imprese di autotrasporto, opere decise e di coraggio a favore della mobilità e della sicurezza delle infrastrutture.
Oggi l’auspicio è che si sia ancora in tempo per un ripensamento della misura, perché il diritto alla mobilità non diventi un lusso per pochi.
Stop war.